La supremazia aerea USA “mutilata”

Dall’inizio del XX secolo, il potere aereo ha trasformato il modo in cui le guerre vengono combattute. Già nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, il dominio dei cieli si rivelò decisivo per il successo delle operazioni militari, con battaglie iconiche come la Battaglia d’Inghilterra e le incursioni strategiche sui centri industriali nemici. Durante la Guerra Fredda, la corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica portò allo sviluppo di velivoli sempre più avanzati, rafforzando il concetto di deterrenza nucleare e la capacità di proiezione di forza globale.

Nel conflitto più recente in Ucraina, il potere aereo ha assunto un ruolo centrale, dimostrando sia i suoi limiti che la sua innegabile importanza. Sebbene la Russia disponga di una flotta numericamente superiore, le difese antiaeree ucraine, rafforzate dal supporto occidentale, hanno ridotto l’efficacia dell’aviazione russa. Tuttavia, l’uso di droni, missili a lungo raggio e attacchi aerei mirati ha comunque influenzato in modo significativo l’andamento del conflitto, dimostrando che il dominio dei cieli resta un fattore chiave per ottenere vantaggi strategici. La capacità di colpire infrastrutture critiche, centri logistici e posizioni nemiche tramite il potere aereo continua a essere determinante, anche in uno scenario in cui i sistemi di difesa sono sempre più avanzati.

In questo contesto di sfide emergenti, emerge una realtà preoccupante: il potere aereo americano, un tempo indiscusso, sta attraversando un declino significativo. Secondo un’analisi condotta da Defense News, solo il 62% degli aerei da guerra americani è attualmente in grado di volare. Questo rappresenta il tasso di operatività più basso nella storia recente della United States Air Force (USAF), con gravi implicazioni per la capacità di risposta e deterrenza degli Stati Uniti. La flotta dell’aeronautica, composta da oltre 5.000 velivoli, sta progressivamente invecchiando, rendendo sempre più difficile la manutenzione e l’aggiornamento tecnologico di alcuni modelli.

Dai dati forniti per il 2024, emerge che circa 1.900 unità della flotta sono fuori servizio, evidenziando una situazione preoccupante in termini di disponibilità operativa. Già nel 2018, il Segretario alla Difesa dell’amministrazione Trump, Jim Mattis, aveva fissato un obiettivo di prontezza dell’80% per i caccia di punta come gli F-16, F-22 e F-35, un traguardo che non è stato raggiunto. Anzi, il quadro attuale sembra essere ancora più critico, con un continuo declino nella disponibilità effettiva dei velivoli.

Durante un recente seminario in Colorado, il capo di stato maggiore dell’Air Force, generale David Allvin, ha mostrato dati che confermano l’invecchiamento progressivo della flotta. Se nel 1994 l’età media degli aerei era di 17 anni, oggi ha raggiunto quasi i 32 anni, con una conseguente riduzione della prontezza operativa dal 73% al 54%, considerando anche gli aeromobili in attesa di manutenzione.

La riduzione dell’operatività della flotta aerea statunitense ha implicazioni significative per la sicurezza nazionale e la proiezione di potenza globale. Senza una forza aerea efficiente, la capacità degli Stati Uniti di rispondere rapidamente alle minacce emergenti potrebbe risultare compromessa, mettendo a rischio l’equilibrio di forze in teatri strategici come il Pacifico e l’Europa orientale.

Nonostante le difficoltà incontrate in Ucraina, il potere aereo resta un elemento imprescindibile della guerra moderna. Le operazioni aeree continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel supporto alle forze di terra, nella raccolta di informazioni e nella proiezione di potenza. Per mantenere il dominio nei cieli, gli Stati Uniti dovranno affrontare con urgenza le problematiche legate alla manutenzione della flotta e all’acquisizione di nuove tecnologie.

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