(di Giovanni Bozzetti, Pres Ambienthesis) La nostra Terra sta diventando, o tornando ad essere, visto che è tutto già successo in passato, una serra. In un tempo lontano rispetto ad oggi, infatti, l’atmosfera era ricca di gas come l’anidride carbonica e non esistevano ghiacci. Il clima ora sta cambiando molto più velocemente rispetto al passato e molto dipende sicuramente dall’uomo, tant’è vero che, secondo studi specifici sull’argomento, forse neanche gli sforzi messi in campo fino ad oggi potrebbero bastare per evitare che in un futuro, neanche troppo lontano, i mari possano divorare chilometri di suolo e città costiere di conseguenza, o deserti si sostituiscano a zone che sono ancora oggi coltivabili. E con i mari che potrebbero salire, New York, Miami, Roma e, ovviamente, Venezia finirebbero totalmente sott’acqua. Lo studio su Proceedings of the National Academy of Sciences ci dice, infatti, che “La soglia dei 2 gradi centigradi potrebbe essere un punto di non ritorno e scatenare un effetto domino senza controllo. I mari potrebbero crescere fino a 60 metri e molte zone del Pianeta potrebbero diventare inabitabili.”Ora siamo di poco al di sopra di 1° rispetto a un secolo e mezzo fa, con una crescita media di 0,17° all’anno. Ma, nel frattempo, i gas come anidride carbonica e metano, immessi nell’atmosfera dalle attività umane, stanno trasformando il globo in una enorme serra. Superare i 2° (obiettivo di Cop21, con un più ambizioso contenimento a 1,5°) sarebbe come lanciarsi giù per una ripida discesa senza freni: la temperatura si assesterebbe a una media globale di 4-5 gradi sopra i livelli preindustriali. Secondo i climatologi, contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi, rispetto all’epoca preindustriale, sarà più difficile del previsto. E, se non dovessimo riuscirci, potrebbe innescarsi un effetto domino impossibile da contrastare con periodi di siccità ed eventi sempre più estremi, che colpiranno (e in parte già colpiscono) l’agricoltura, causando migrazioni di massa e destabilizzazioni sociali. Uno scenario molto simile, ma assai peggiore e su scala globale, a quello a cui stiamo assistendo già ora nel Mediterraneo. Non è un caso infatti che il rapporto “Global Risks” pubblicato da World Economic Form classifichi la crisi idrica, strettamente collegata all’innalzamento delle temperature globali, come il rischio maggiore nel prossimo decennio per il nostro Pianeta e abbia posto tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile grande attenzione proprio al tema dell’acqua. La desertificazione, tanto per chiarire meglio il termine, è il costante degrado degli ecosistemi a causa delle attività umane – tra cui l’agricoltura non sostenibile, l’estrazione mineraria, i pascoli per l’allevamento intensivo e la bonifica dei terreni – e dei cambiamenti climatici. E, anche se il degrado del territorio è un problema globale, avviene localmente e richiede soluzioni locali. Inutile dire che, se qualcosa va fatto, va fatto adesso.
L’obiettivo si potrà raggiungere solo con un cambio di mentalità, a livello economico e tecnologico, con macchine in grado di raccogliere dall’atmosfera e di immagazzinare i gas serra, e con l’uso di sistemi abitativi e di trasporto sostenibili e, infine, con un cambiamento nella gestione del suolo e della demografia e con un nuovo approccio culturale, attraverso l’educazione. Come affermano gli autori dello studio: “Evitare di superare questa soglia è un obiettivo che può essere raggiunto e mantenuto solo da uno sforzo coordinato e deciso da parte delle società umane per gestire la nostra relazione con il resto del Sistema Terra, riconoscendo che l’umanità è un elemento integrato e che interagisce con questo sistema”.
Secondo un’altra importante ricerca dal titolo “Production of methane and ethylene from plastic in the environment”, pubblicata sulla rivista scientifica PlosOne, la plastica più comune che usiamo (e gettiamo) sotto forma di sacchetti, ma anche alcuni giocattoli, tappi, pellicole alimentari o flaconi per detersivi e alimentari, una volta rilasciata nell’ambiente libera sotto l’azione del sole, e soprattutto dell’aria, metano e etilene. Tradotto: quando la plastica si degrada nell’ambiente marino e terrestre emette diversi gas serra, gli stessi gas che, è ormai noto, influenzano direttamente i cambiamenti climatici, facendo innalzare il livello del mare, aumentando le temperature globali, compromettendo la salute degli ecosistemi terrestri e oceanici e rafforzando le tempeste, che a loro volta aumentano le inondazioni, la siccità e l’erosione costiera. Tutti danni all’ambiente che si aggiungono a quelli già noti sulle materie plastiche gettate in mare, capaci di aggregare e trasportare numerose altre sostanze tossiche (metalli pesanti, pesticidi, etc.) oltre a quelle tipiche della plastica. La plastica rappresenta così per il clima una fonte rilevante di tracce di gas che si prevede aumenteranno con la produzione e l’accumulo di plastica nell’ambiente (rappresentando già oggi circa il 95% dei rifiuti ritrovati in mare). Questa fonte non era stata prevista nella valutazione dei cicli globali di metano ed etilene prima della casuale scoperta, ma potrebbe essere significativa. Nel mondo si produce plastica da oltre 70 anni, 8 milioni di tonnellate finiscono ogni anno negli oceani. Considerando, così, la grande quantità di plastica spiaggiata a terra sulle nostre coste e la quantità di plastica esposta ogni giorno alle condizioni ambientali, lo studio fornisce ulteriori prove del fatto che dovremo limitare, o addirittura interrompere, la produzione di plastica alla fonte, in particolare modo quella della plastica monouso. Finora, il legame tra plastica e cambiamento climatico era principalmente incentrato sull’uso di combustibili fossili come petrolio e gas nella produzione di prodotti in plastica, ma era già noto che quando le materie plastiche si degradano nell’ambiente rilasciano CO2. Si aggiunge ora, però, un altro tassello alla lunga lista degli impatti sull’ambiente provocati da questo vero e proprio “highlander” dei mari, un motivo in più, che si aggiunge ai tanti altri già ampiamente dibattuti e conosciuti da tutti, per impegnarsi ad arginare l’inquinamento da plastica anche nei nostri piccoli gesti quotidiani e trasformare il nostro stile di vita in un quotidiano “plastic free”.