(di Giuseppe Paccione) La condotta bellica, corroborata dall’aggressione, da parte della Russia contro l’Ucraina, cagionando enormi sofferenze alla popolazione civile e alla distruzione di strutture pubbliche e private, sino a radere al suolo alcune città ucraine, è stata considerata dalla comunità internazionale come rientrante nel contesto di una vera e propria guerra. Quest’ultima parola è stata sempre celata e respinta ovvero evitata dalle autorità moscovite sostituendola con l’espressione operazione militare speciale, che può essere inquadrato nella sfera della violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, che sancisce il divieto di ricorrere allo jus ad bellum contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica in questo caso ucraina, membro delle Nazioni Unite con personalità internazionale.
Il linguaggio e la logica dell’impero, concetto molto caro a Vladimir Putin, si fondano sulla disuguaglianza e subordinazione, nel senso che è impossibile avere sullo stesso piano medesime relazioni fra l’impero e le sue parti costitutive, cioè a dire che non vi può essere posto per il conflitto bellico all’interno dell’impero, per la mera ragione che il concetto stesso di guerra presuppone la parità dello status, ad esempio, uno Stato (o impero) è in guerra con un altro Stato (o impero). Questo punto costituisce il punto razionale del presidente Putin, supportato d’altronde dai media pubblici della Federazione russa, secondo cui insistentemente afferma che l’occidente, la NATO et alias sono realmente in guerra. Ergo, Putin paragona il blocco occidentale e ciò che vi è attorno come nemici che hanno lo stesso status (di impero) e con i quali la Russia vuole parlare o combattere.
Ci si chiede, ad esempio, il genere di guerra che possa esserci con lo Stato ucraino. Nella sfera logica dell’impero, non può in ogni circostanza avere uno status pari a quello della Russia (imperiale), anzi, Putin considera l’Ucraina come una colonia e non come uno Stato sovrano e, pertanto, solo un’operazione speciale militare e che, rispetto a un conflitto bellico, tale operazione non comporta la parità dell’Ucraina con la Russia. Tale concetto, dall’ottica russa, usa il ragionamento della c.d. diseguaglianza come nel caso in cui le autorità statali conducono un’operazione di polizia o di antiterrorismo esercitando in tal guisa il loro monopolio sull’impiego della coercizione di carattere militare. La narrazione dell’operazione militare speciale viene considerata imperialistica proprio per la mera ragione che comporta che lo Stato russo stia usando lo strumento armato all’interno del suo dominio, di cui lo Stato ucraino è solo una parte della Russia. Quanto scritto presume un criterio di doppio linguaggio, nel senso che, da una parte, lo Stato ucraino è tecnicamente uno Stato indipendente e sovrano separato con un proprio organo centrale dell’esecutivo; dall’altra, Mosca, in particolare Putin, lo reputa un Paese fantoccio o costruito ad arte da alcuni Paesi occidentali e, dunque, non riconosciuto come entità statale, ma come parte integrante della Russia. Questa è la giustificazione, a parere della diplomazia russa, secondo la quale l’Ucraina non abbia assolutamente subito alcun attacco bellico. Dunque, si può evincere come i russi ritengano che il fatto di intervenire in Ucraina equivale non a un attacco armato o ad una invasione ma soltanto di un’operazione su un lembo territoriale che le appartiene.
La posizione russa nel far passare la propria condotta sul territorio ucraino rientrante nell’operazione militare speciale ha come congettura l’utilizzo del linguaggio di un intervento di polizia interna e non di un conflitto bellico contro l’Ucraina. È possibile constatare l’ottica russa di nominare l’impiego delle sue truppe militari in Cecenia, ad esempio, considerato come operazione di ripristino dell’ordine costituzionale durante il primo conflitto bellico ceceno e operazione antiterroristica, nella seconda guerra cecena, sul territorio della regione del Caucaso settentrionale, aggiungendo anche l’operazione di applicazione della pace con l’invasione russa in territorio georgiano e, infine, l’operazione speciale militare nei confronti dell’Ucraina. Da ciò si è possibile desumere che il governo russo non muove guerre che possono essere combattute unicamente con eguali e alla pari, ma conduce solo operazioni non comportanti le linee guida dei una guerra.
Ci si pone la questione se tutto ciò possa rivelare qualche punto attorno all’occupazione ostile russo sul territorio ucraino. Innanzitutto, secondo il presidente Putin, i negoziati diretti con il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky sono stati riluttanti, nonostante il presidente ucraino abbia chiesto di aprire il percorso negoziale per trovare una soluzione pacifica, non solo sin dall’inizio del conflitto armato, ma ancor prima che venisse eletto dal popolo ucraino capo di Stato. Il ruolo diretto alle trattative negoziali dell’Ucraina porrebbe sullo stesso livello in maniera simbolica di Putin, che per quest’ultimo sarebbe del tutto impensabile e non tollerabile agli della Russia che si considera un impero che deve trattare solo con altri imperi e non con Stati poco significanti. Tuttalpiù, il presidente russo sarebbe disponibile a partecipare al tavolo del negoziato con l’Ucraina solamente se tali colloqui fossero nella sua concretezza un atto di sottomissione umiliazione del presidente ucraina. Qualsiasi altro scenario indicherebbe la sconfitta del presidente Putin e la vittoria del suo avversario ucraino e significherebbe anche la distruzione dell’obiettivo narrativo imperiale.
In un secondo luogo, da quanto è divenuta forte e coerente la narrativa imperialistica da parte dei russi, Putin si stava già preparando a dichiarare guerra all’Ucraina. Sta divenendo, inoltre, sempre più chiaro che dichiarare la legge marziale e avviare la mobilitazione sia la sola maniera per Mosca di proseguire nel conflitto bellico, che tuttavia non è la logica entro la quale operi il governo del Cremlino e, dunque, i rapporti dell’intelligence sembrano non cogliere il punto, nel senso che, non solo la dichiarazione di guerra uniformerebbe la ragione per la quale l’esercito professionale russo abbia fallito, ma porterebbe anche lo Stato ucraino alla figura di avversario alla pari, il che simpliciter rovinerebbe l’intera narrativa imperialistica elaborata da Putin in maniera attenta ed accurata. Qualora il presidente russo dovesse in maniera ufficiale avviare una mobilitazione generale o parziale, allora dovrebbe adattarsi alla retorica di affrontare il vero nemico, che arduamente risolverebbe le questioni militari e politiche russe.
Infine, credo che sia importante che si debba dare un freno agli appelli che provengono dalla società civile occidentale ai propri governi di avviare un negoziato con il Cremlino, sebbene tali richieste potrebbero comportare un rafforzamento della narrativa e delle velleità di Putin secondo cui la Russia non è in guerra con l’Ucraina, ma con l’intero occidente.