valori umanitari
(di Santa Fizzarotti Selvaggi) I processi evolutivi che vanno dal “non-integrato” all’“integrato” sono graduali e complessi, così come sono i processi dell’evoluzione della società.
D’altra parte questi sono intimamente legati all’Ambiente facilitante e/o interferente, molte volte carente e mancante.
Attualmente i processi verso la disintegrazione, come i passaggi verso la regressione, avvengono facilmente, malgrado il terrore della disintegrazione e del caos che tutti conosciamo.
Il trauma psichico per esempio rappresenta una ferita per la mente: qualcosa di esterno la invade e ne viola i confini, causando spesso uno stato di estrema sofferenza. A tal uopo si consideri che il trauma, quale rottura dell’esperienza quotidiana e della memoria, rappresenta il dramma dei profughi e degli immigrati, dei bambini usati e abusati, di tutti coloro che esperiscono una qualsivoglia violenza.
Si tratta di una ferita che riapre altre piaghe, talvolta invisibili cicatrici che lasciano emergere il rimosso non rappresentabile dalla nostra mente che invece ha bisogno di controllare eventi e fatti all’interno dell’universo simbolico umano. Vi sono anche traumi irrisolvibili! E non si dimentichi che ciascun essere umano ha una sensibilità diversa.
Uno degli obiettivi dell’Associazione Crocerossine d’Italia –Onlus, che si ispira alle terre del valori umanitari, in cui la generosità si fa generatività e dunque creatività al servizio di una nuova coscienza, è anche quello di tentare di ricomporre gli affetti, aiutare l’Altro nell’elaborazione delle perdite e dei lutti, sostenere l’infanzia, facilitare il discorso inter e transgenerazionale in cui il fenomeno del cosiddetto “ ageismo” (discriminazione verso una persona di età più avanzata) venga vanificato.
E al femminile genitoriale, che comunque dimora in ciascun essere umano, più che mai forse oggi spetta il compito di facilitare l’esperienza solidaristica attraverso modelli di ricomposizione dei frammenti: si tratta di ritrovare il mosaico della propria Identità e di salvaguardare quei principi umanitari che appartengono alla storia dell’umanità intera e non solo a singole associazioni.
Ricordo innanzitutto a me stessa e poi al lettore che l’incoerenza dei nostri comportamenti (senza per altro arroccarsi difensivamente su posizioni estreme che potrebbero significare altro, finanche la non accettazione di sé, delle proprie umane debolezze…) invece è una violenza che infliggiamo agli altri. Ma il lavoro dell’Associazione tende proprio a ritrovare la coerenza che spesso manca tra il dire e il fare…
L’inevitabile sofferenza dell’esistere in quanto tale a volte non trova parole che possano consentire la condivisione dell’infelicità: il dolore, infatti, può essere contenuto in maggior misura non solo da un “holding” adeguato ma da quegli strumenti che compongono la grammatica della creatività.
Gli strumenti della creatività sono fondamentali per creare i luoghi umanitari, fertile “humus” di attraversamento transculturale e transgenerazionale : mi riferisco ai laboratori e ateliers creativi in cui attraverso la conoscenza reciproca (connaissance) si nasce insieme all’altro in un processo creativo, in un intreccio in cui l’uomo si ritrova ad essere parte dell’altro.
Non si confonda dunque la dinamicità della esperienza condivisa con l’assunto fortemente intellettualistico di qualche operatore culturale o circolo o associazione quando questi invocano arte e cultura tout court perché inevitabilmente si rischia di porsi già su un piano di presunta superiorità’ nei confronti dell’Altro. Non amo mai ripetere quanto già scritto ma mi rendo conto che spesso necessita la ripetizione di concetti e riflessioni invitando anche coloro che sono motivati a formarsi adeguatamente e a studiare sì da non nuocere ed evitare ulteriori danni.
I geni ci rendono uguali se pur nelle infinite ricombinazioni, l’ambiente ci differenzia, gli strumenti della creatività ci fanno evolvere insieme all’Altro nella condivisione di esperienze e affetti. Ci permettono di conoscere sé e l’Altro. Nel villaggio globale assistiamo alla disintegrazione e all’azzeramento della creatività, che è invece uno straordinario strumento di integrazione e trasformazione che può avvalersi dell’azione di coloro che con un atto libero di volontà assolutamente gratuito sentono di porre in atto una maternità sociale consapevole che dalle ferite dell’anima può nascere un Uomo Nuovo.
Si tratta, in realtà, dell’Arte della cura, che dovrebbe appartenere a tutti. Un prendersi cura consapevole e amorevole ( come da radice sanscrita del termine) poiché dobbiamo sapere che a volte anche quando si cura si può, se pur involontariamente, danneggiare. Non si sentano narcisisticamente feriti i volontari che si dedicano alla cura degli altri perché essere consapevoli dei propri limiti fa bene a se stessi e a coloro che a noi si affidano.
Ed è nella dimensione dell’Arte della cura che si struttura una sorta di Triangolo Umanitario: la Persona, la Volontaria, l’Ambiente – Quadro Sociale. J. Poullion già nel 1970 aveva rilevato la pregnanza del quadro sociale all’interno delle relazioni umane. Spesso si è “costretti” ad incontrare problemi psicologici di coloro che a noi si rivolgono: ansia, desideri, aspettative, illusioni e delusioni, emozioni e sentimenti. In molti momenti non c’è bisogno se non di un riconoscimento dell’Altro. Così l’unico rimedio opportuno ed appropriato è quello di saper offrire aiuto e sostegno a problemi emotivi, così come si presentano.
Fondamentale è la capacità di preoccuparsi dei processi di cambiamento della società di appartenenza. La sostanza dell’identità volontaristica delle associazioni in genere viene direttamente dal rapporto con la persona, con il suo corpo reale, sofferente ma vivo, fisicamente ed emozionalmente presente, e dalla capacità di affrontare a giusta distanza livelli diversi di complessità umana senza colludere. L’atto volontaristico si fonda sulla consapevole preoccupazione per la Persona che percepisce se il “prendersi cura” è il risultato del dono responsabile che il volontario fa di sé. L’“Arte della cura”, quale tecnica di accudimento materno, appartiene a tutti da sempre. Trattare con l’Altro significa incontrare la Persona nelle sue più profonde ferite, traumi e angosce, nella sua solitudine. Persone che fanno parte di un Ambiente sempre variabile: dal loro caleidoscopico insieme nasce una sorta di mosaico di luce che dà forma alle cose del mondo. Una luce che si incarna nell’“intelligere” proprio dell’essere umano, la cui Identità si struttura sulla Solidarietà, sul non lasciar mai solo l’Altro nel deserto dei sentimenti: la “solitudine fondamentale” (cfr. D. W. Winnicott), che dissolve il mondo intorno a noi e ci fa sentire come bambini inermi dopo la dipartita delle persone care.
Coloro che credono davvero nell’atto volontaristico e solidaristico hanno il compito di illuminare le forze inconsce che sottendono la Storia dell’Uomo per facilitare lo sviluppo della Coscienza. È fondamentale, dunque, ricostruire un ponte fra gli eventi della storia e l’humanitas: il terreno fecondo dell’incontro, fra esseri umani, fra un Io e un Tu. La solidarietà, infatti, si nutre di humanitas, dell’humus materno, vale a dire della condivisione, di un fare efficace, del formare, del creare e nascere insieme all’Altro: una “poiesis” tramite le “terze terre” “terre della creatività condivisa” che genera la luce del mondo all’interno della quale ognuno cerca se stesso. Tutto ciò ci permette di andare oltre ed esperire un suggestivo viaggio conoscitivo in grado di percepire l’uomo come un insieme di segni, metafore, simboli e relazioni. Oggi, in un contesto che tende alla deprivazione della capacità di pensare autonomamente, l’uomo si trova ad affrontare il viaggio più difficile la cui meta è la capacità di sentirsi unici e creativi, diverso tra simili. Il processo di omologazione e conseguente vanificazione del pensiero plurale purtroppo necessita di conquistare nuovi terreni e pertanto cinicamente esige, purtroppo, violenza e sangue umano, come osserviamo in molti Paesi del mondo.
Oggi, con l’ausilio dei media e del mondo virtuale, si confonde più facilmente l’essere col potere, il soggetto con l’oggetto per cui si congelano difensivamente emozione e sentimento deprivando se stessi della capacità di sentire e di pensare creativamente il mondo. Nella parola “umanità” si cela la storia dell’uomo, la sua natura e le chiavi interpretative e simboliche del mondo. E se la biologia è «un destino», l’esperienza «simbolica dell’umanità» ci consente di accedere ai territori dell’immaginazione e della creatività, del «portare ad esistere» parti di noi (cfr. D. W. Winnicott) in dialogo con la realtà interna ed esterna, Ed è così che dalla sofferenza può nascere la gioia nella certezza che qualcosa cambierà. Vale a dire che il domani non sarà pensato come futurum, cioè come un divenire programmato del presente , come continuità secondo la cosiddetta ragione, ma come adventus … Un’epoca di avvento: l’accadere trasformativo totalmente innovativo.