Le imprese con meno di 20 addetti sono oltre 4 milioni (pari al 98,2 per cento del totale) e danno lavoro a 8 milioni tra operai e impiegati, pari al 56,4 per cento di tutti gli addetti del settore privato presenti in Italia (i dati, aggiornati al 2015, sono stati presentati da Eurostat nel giugno del 2018 e sono riferiti al solo settore privato. Sono esclusi, inoltre, gli occupati in agricoltura, nei servizi finanziari/assicurativi, nei comparti dell’istruzione, della sanità/assistenza sociale e delle attività artistiche/intrattenimento). Nessun altro Paese dell’Eurozona può contare su una platea di micro aziende così fondamentale per l’occupazione. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi, dichiara:
“Stimiamo che almeno il 70 per cento di questi piccolissimi imprenditori prima di mettersi alla guida della propria attività abbia lavorato come dipendente. Un’esperienza che è stata determinante per la formazione e il know how di questi titolari d’azienda che, tra le altre cose, hanno da sempre un rapporto con le proprie maestranze fondato sulla stabilità, il rispetto e l’amicizia. Valori che sono alla base degli straordinari risultati occupazionali ottenuti da queste realtà, nelle quali il lavoratore dipendente costituisce una risorsa e non, come spesso avviene nelle grandi imprese, un semplice numero”.
Come dicevamo, nelle realtà italiane con meno di 20 addetti lavora il 56,4 per cento degli occupati del settore privato; la media dell’Eurozona, invece, si attesta al 39,9 per cento, vale a dire 16,5 punti percentuali in meno rispetto all’Italia.
Altrettanto significativi sono i risultati riportati dalla Francia e dalla Germania. Se nel primo caso l’incidenza è del 34,7 per cento, nel secondo scende addirittura al 30,5 per cento. A dimostrazione che in questi due Paesi, a trainare l’economia è la grande e non la piccola impresa.
“Le nostre micro aziende – segnala il Segretario della CGIA Renato Mason – rappresentano l’asse portante dell’economia del nostro Paese e assolvono anche un ruolo sociale importantissimo. Purtroppo, ce ne accorgiamo quasi sempre troppo tardi, ovvero quando non ci sono più. Le chiusure di tantissimi piccoli negozi e botteghe artigiane avvenute in questi ultimi anni, infatti, hanno reso i centri storici e, soprattutto, le periferie delle nostre città più insicure e meno vivibili”.
Oltre all’elevato numero e alle straordinarie ricadute occupazionali, le micro realtà produttive – costituite da milioni di artigiani, commercianti, esercenti e piccolissimi imprenditori – sono importanti anche per il peso del fatturato e del valore aggiunto che producono. Secondo gli ultimi dati riferiti al 2015, le aziende italiane con meno di 20 addetti hanno generato 1.071 miliardi di fatturato che incidono per il 35,9 per cento sul totale nazionale. Per quanto riguarda il valore aggiunto, ovvero la ricchezza prodotta nel Paese, queste piccolissime attività hanno realizzato 286 miliardi di euro, pari al 9,9 per cento del totale nazionale.
Sempre in termini di lavoro, l’Ufficio studi della CGIA ha stimato anche l’andamento degli occupati e dei disoccupati previsto nel secondo semestre di quest’anno. Stando alle previsioni formulate prima dell’estate dalla Commissione europea e da Prometeia, negli ultimi 6 mesi dell’anno dovremmo registrare, rispetto allo stesso periodo del 2017, 36 mila occupati in più (+0,2 per cento) e 25 mila disoccupati in meno (-0,9 per cento).
Segnali positivi che, nonostante la frenata del Pil, ci consentiranno di portare la platea degli occupati a 23.174.000 unità, superando il punto massimo di 23.112.000 unità raggiunto nel 2008. Le persone in cerca di lavoro, invece, scenderanno a quota 2.800.000. Un dato, quello dei disoccupati, che rimane comunque superiore al milione e mezzo di senza lavoro che contavamo nel 2007, ovvero l’anno ante crisi.
Nonostante lo scenario generale tenda al bello, rimangono aperte ancora molte crisi aziendali. Al 30 giugno scorso, infatti, i tavoli presso il Ministero dello Sviluppo Economico erano 144, con almeno 189.000 lavoratori coinvolti. Di queste imprese, 31 hanno cessato in tutto o in parte la loro attività in Italia per delocalizzare all’estero. Ricordiamo, infine, che le situazioni più critiche che il ministro Di Maio dovrà affrontare nelle prossime settimane sono quelle di Alitalia, Almaviva, Bekaert, Ilva e Italiaonline (ex Pagine Gialle).