Con il Medio Oriente in bilico e nuove minacce che emergono da più fronti, l’amministrazione Biden si trova di fronte a una sfida diplomatica senza precedenti. I prossimi giorni saranno cruciali per determinare se gli sforzi di Washington riusciranno a portare una tregua duratura e a prevenire una nuova escalation di violenza nella regione
di Massimiliano D’Elia
Mentre i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza vengono rinviati alla prossima settimana, l’amministrazione Biden si prepara a mettere in atto una strategia complessa per colmare le distanze tra Israele e Hamas, nella speranza di raggiungere una tregua sostenibile e di rafforzare la propria credibilità in Medio Oriente. La diplomazia americana sta tentando di tessere una tela in grado di garantire una soluzione che possa stabilizzare la regione e prevenire un’ulteriore escalation.
Il presidente Joe Biden si mostra ottimista sulla possibilità di un accordo imminente, affermando che il cessate il fuoco “non è mai stato così vicino”. Sebbene la tregua non sia ancora stata raggiunta, Biden ha sottolineato che ci sono stati progressi significativi negli ultimi giorni. La conferma a seguito dei colloqui telefonici con l’emiro del Qatar Tamim Al-Thani e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, a margine del vertice conclusosi a Doha.
Secondo fonti di stampa statunitensi, la chiave per il successo potrebbe risiedere nei negoziati che riprenderanno al Cairo la prossima settimana, dove gli Stati Uniti, con il sostegno di Egitto e Qatar, hanno presentato una proposta ispirata al piano in tre punti di Biden e alla risoluzione n. 2735 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Nel frattempo, il segretario di Stato americano Antony Blinken si prepara a partire per il Medio Oriente, con tappe previste in Israele, Doha e il Cairo. Blinken dovrà convincere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a trovare una soluzione per il corridoio Filadelfia (area al confine tra Israele ed Egitto) dove Hamas ha costruito una micidiale rete di tunnel sotterranei. Netanyahu considera la presenza militare israeliana in questa zona come non negoziabile. Hamas, invece, vorrebbe la presenza militare israeliana “nulla” in tutta Gaza. Mentre Blinken incontrerà Netanyahu il capo della CIA William Burns e Brett McGurck, plenipotenziario della Casa Bianca per il Medio Oriente, saranno impegnati com Hamas per riportarli alla ragione. Un elemento centrale di questi negoziati riguarda la sorte del leader di Hamas, Yahya Sinwar, ricercato dal governo israeliano. La sopravvivenza di Sinwar potrebbe essere la contropartita per convincere Hamas ad accettare un cessate il fuoco.
Sul versante Iran la diplomazia statunitense è al lavoro per prevenire una ritorsione iraniana per l’uccisione dell’ex leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Washington, tramite l’Oman, sta interloquendo con Teheran per trovare un accordo che porti alla moderazione specialmente per i suoi proxy, desiderosi di scatenare, quanto prima, la rappresaglia contro Israele, con il velato intento di far fallire gli incontri in corso per un cessate il fuoco duraturo. Washington potrebbe allentare le sanzioni a Teheran, semmai la crisi dovesse rientrare, riattivando anche gli accordi sul nucleare. Una mossa che alla lunga dovrebbe allontanare l’Iran dalle lusinghe di Mosca.
Le tensioni sono ulteriormente aumentate nelle ultime ore, dopo che Hezbollah ha lanciato un attacco con droni contro obiettivi israeliani lungo il confine libanese. Questo attacco, che ha seguito giorni di minacce crescenti da parte del gruppo militante libanese, ha riacceso i timori di una possibile escalation su più fronti. L’attacco con droni, sebbene non abbia causato vittime, è stato un chiaro segnale della volontà di Hezbollah di intensificare la sua pressione su Israele, in coordinamento con le crescenti tensioni nella Striscia di Gaza.
L’inviato speciale americano Amos Hochstein, dopo aver incontrato il presidente del parlamento libanese Nabih Berri, alleato di Hezbollah, ha cercato di mitigare il rischio di un’escalation ulteriore, ma l’attacco di Hezbollah rappresenta un ostacolo significativo agli sforzi diplomatici. Hochstein ha dichiarato di “sperare e credere sia possibile” evitare una guerra aperta con Israele, ma l’imprevedibilità della situazione sul campo rende difficile qualsiasi previsione.
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