di Francesco Matera
La Lega araba, ieri, ha riunito tutto il mondo musulmano: tra i partecipanti si registrano presenze di peso del calibro del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e del presidente iraniano, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi. Una novità assoluta dal momento che il capo degli sciiti iraniani è andato nella culla dei sunniti, l’Arabia Saudita, con cui aveva interrotto ogni tipo di rapporto dal lontano 2016. A marzo scorso, grazie alla mediazione della Cina, i due Paesi avevano riaperto i canali diplomatici.
“La responsabilità dei crimini contro il popolo palestinese – afferma Salman – è dell’autorità di occupazione israeliana”, rea, secondo il principe saudita, di aver violato ripetutamente il diritto umanitario internazionale. Salman ha poi detto che “l’unico modo di garantire sicurezza, pace, stabilità è quello di porre fine all’assedio e agli insediamenti dei coloni. Dopo queste affermazioni si raffredda sempre più il vigore che aveva contraddistinto lo spirito che avrebbe dovuto avvicinare l’Arabia Saudita ad Israele, tramite gli accordi di Abramo, fortemente sostenuti dagli Usa.
Il più duro è stato il presidente iraniano Raisi: “Dobbiamo baciare le mani di Hamas per la resistenza contro Israele”.
Il presidente turco Erdogan, inceve, ha denunciato le barbarie senza precedenti a Gaza, criticando l’Occidente per il suo silenzio. Poi ha lanciato una proposta: una conferenza di pace internazionale.
La situazione attuale che evolve di ora in ora richiede un avvicinamento di tutti i musulmani perché, ogni decisione dovrà essere presa con la massima cautela, non si possono rischiare avventatezze di singoli Stati perché in ballo c’è il pericolo di una incontrollabile spirale di guerra in grado di coinvolgere l’intero Medio Oriente con conseguenze inimmaginabili. Il pericolo di un allargamento del conflitto tiene con il fiato sospeso anche l’Occidente che, nel frattempo, sta cercando di tessere una fitta tela di relazioni diplomatiche trasversali per scongiurare il peggio. Gli effetti della guerra israelo-palestinese (Hamas) hanno riempito di manifestanti le piazze della maggiori capitali a livello mondiale, coinvolgendo anche il mondo universitario con proclami pro-Hamas e con marcati accenni all’antisemitismo.
I toni tra le parti rimangono accesi
Ieri, per la seconda volta in un mese, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah ha ripetuto le minacce ad Israele: “Continueremo a mettere pressione su Israele, finché non si fermerà, tenendo aperto il fronte di guerra col nemico a sud del Libano. Abbiamo assistito a una serie di minacce da parte di Netanyahu, Gantz, Gallant noi continueremo su questa strada”.
Nasrallah ha poi fatto una rivelazione tattica che suona come un ulteriore avvertimento per il nemico, circa le nuove capacità di Hezbollah: “Lanciamo e droni ogni giorno, alcuni difensivi, altri per raccogliere informazioni. Possono arrivare fino ad Haifa e in tutto il Nord: fa parte della guerra di logoramento contro le difese aeree di Israele. Noi abbiamo migliorato qualità e quantità delle nostre operazioni usando anche missili con carichi tra 300 a 500 chili e registrato la portata dei katyusha”.
Immediata la risposta del ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant: “State trascinando il Libano in una guerra che appare come possibile. State commettendo una serie di errori e chi pagherà saranno soprattutto i civili libanesi. Quello che facciamo a Gaza, lo possiamo fare a Beirut”.
A seguire il premier Netanyahu ha invitato Hezbollah ad evitare quello che sarebbe un errore fatale.
Il post conflict
Per il post conflict americani ed europei puntano sul leader dell’Anp, Abu Mazen. Israele, però, dopo aver annientato Hamas ha già detto che si vorrà occupare direttamente della sicurezza di Gaza, sollevando il malumore degli americani. I palestinesi, dal canto loro vogliono, nonostante tutto, che Hamas continui ad esistere ed essere rappresentanto in un prossimo parlamento.
C’è una proposta, rivelata da Repubblica secondo alcune indiscrezioni: la creazione di un governo tecnico di transizione, per avere elezioni tra due, tre anni. Un governo unico che comprenda Cisgiordania e Gaza.
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