Sebbene sia diminuita di oltre 6 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, l’Ufficio studi della CGIA fa sapere che in Italia, a seguito della non corretta dichiarazione dei redditi, sono presenti 93,2 miliardi di euro di imponibile evaso imputabili direttamente alle imprese e alle partite Iva (L’Istat stima questo fenomeno con complesse procedure statistiche che sono state affinate negli anni. L’ultimo dato disponibile è riferito al 2015 ed è stato estrapolato dal report “L’economia non osservata nei conti nazionali”, presentato a Roma l’ 11 ottobre 2017). In altre parole, l’incidenza dell’evasione attribuibile alle aziende sul totale del valore aggiunto prodotto dall’economia non osservata (207,5 miliardi) è pari al 44,9 per cento. Un altro 37,3 per cento dell’evasione è riconducibile al lavoro irregolare (pari ad un valore aggiunto di 77,4 miliardi) e, infine, un ulteriore 17,8 per cento è ascrivibile alle attività illegali e ai fitti in nero (36,9 miliardi) (vedi Tab.1).
Nella quota strettamente in capo alle aziende, il macro settore con la maggiore propensione all’evasione è quello dei servizi professionali (attività legali e di contabilità, attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale, studi di architettura e di ingegneria, collaudi e analisi tecniche, altre attività professionali, scientifiche e tecniche e servizi veterinari).
Secondo l’Istat, infatti, l’incidenza della sotto-dichiarazione del reddito di impresa sul valore aggiunto totale prodotto dal mondo delle libere professioni è la più elevata tra tutti i macro settori presi in esame (16,2 per cento); segue la percentuale riferita al commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti, alloggi e ristorazione (12,8) e quella riferita alle costruzioni (12,3). Più contenuto, invece, il rischio evasione presente nei servizi alle persone (8,8 per cento), nella produzione di beni alimentari e di consumo (7,7 per cento), nell’istruzione e nella sanità (3,9 per cento), negli altri servizi alle imprese (2,8 per cento), nella produzione di beni di investimento (2,3 per cento) e nella produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5 per cento).
“Per combattere questa piaga sociale ed economica – asserisce il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – la strada da percorrere è una sola: ridurre il peso del prelievo fiscale e rimuovere i numerosi ostacoli burocratici che condizionano, di fatto, coloro che ogni giorno fanno impresa. In altre parole: pagare meno per pagare tutti. Ovviamente gli evasori seriali vanno perseguiti e messi nelle condizioni di non farlo più, ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio. Purtroppo, esiste anche un’evasione di sopravvivenza, decisamente aumentata con la crisi, per cui non pagare le imposte ha consentito in questi ultimi anni la salvaguardia della continuità aziendale e dei posti di lavoro”.
La ripartizione geografica che registra la percentuale di rivalutazione del valore aggiunto sotto-dichiarato più elevata d’Italia (“Conti economici territoriali”, Roma 20 dicembre 2017. I dati sono aggiornati al 2015) è il Mezzogiorno (7,6 per cento). Seguono il Centro (6,5 per cento), il Nordest (6 per cento) e il Nordovest (5,4 per cento).
A livello regionale, invece, è il Molise la regione con la quota più elevata (8,4 per cento), seguono l’Umbria, Marche e Puglia (8,3 per cento), Campania (7,7 per cento), Abruzzo e Calabria (7,6 per cento) e Sicilia e Toscana (7,3 per cento). Diversamente, il Friuli Venezia Giulia (5,8 per cento), il Lazio (5,3 per cento), la Lombardia (5 per cento), la provincia autonoma di Trento (4,9 per cento) e quella di Bolzano (3,9 per cento) sono i territori che presentano un rischio evasione più contenuto (vedi Tab. 2).
“È verosimile ipotizzare – conclude il Segretario della CGIA Renato Mason – che con meno tasse da pagare, si registrerebbe una decisa emersione di base imponibile tale da consentire al nostro fisco di concentrare le attività di contrasto nei confronti dei comportamenti fiscali più insidiosi. Ovvero quelli praticati dalle grandi imprese e da molte multinazionali che hanno spostato le sedi fiscali nei Paesi con una marcata fiscalità di vantaggio”.
Oltre ai 93,2 miliardi di sotto-dichiarazione che sfuggono al fisco, la CGIA ricorda che, secondo l’Istat, l’economia non osservata è composta da altri 77,4 miliardi di euro ascrivibili al lavoro irregolare e da 36,9 miliardi riconducibili alla voce altro (fitti in nero, mance, etc.) che include anche la quota di fatturato imputabile alle attività illegali (prostituzione, traffico di stupefacenti e contrabbando di tabacco). Pertanto, tra l’economia sommersa (data dalla somma dell’evasione da sotto-dichiarazione, da lavoro irregolare ed altro), il valore aggiunto complessivo generato nel 2015 dall’economia non osservata è stato di 207,5 miliardi di euro (vedi Tab. 3).
Di questi 207,5 miliardi di euro di imponibile sottratto al fisco, l’Ufficio studi della CGIA ha stimato una evasione di imposta di circa 114 miliardi di euro l’anno. Per ogni 100 euro di gettito incassato, a causa dell’infedeltà fiscale degli italiani, a livello nazionale l’erario perde 16,3 euro. Le differenze territoriali sono notevoli: se nel Mezzogiorno il gettito che sfugge alle casse pubbliche ogni 100 euro prelevati è di 22,2 euro, a Nordovest si scende a 13,4 euro (vedi Tab. 4).