L’UNSMIL in una nota: “profonda preoccupazione per gli attuali sforzi per interrompere o compromettere la produzione di petrolio in Libia. Questa mossa avrebbe conseguenze devastanti prima di tutto per il popolo libico che dipende dal libero flusso di petrolio per il suo benessere. Avrà anche terribili effetti a catena per la situazione economica e finanziaria già deteriorata del paese”.
Per cause di «forza maggiore» Noc (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera libica, ha chiuso cinque porti nei territori dell’Est controllati dalle forze del generale Khalifa Haftar che si oppone al Governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj. Noc ha detto che il blocco dei terminali petroliferi taglierà della metà le esportazioni del Paese. La dimostrazione di forza arriva alla vigilia della Conferenza di Berlino, ospitata dalla cancelliera Angela Merkel, dove il generale verrà messo sotto pressione per accettare un accordo che metta fine alla guerra civile.
Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha confermato alla Bild am Sonntag che il premier libico Fayez al Sarraj e il generale Khalifa Haftar parteciperanno al vertice di Berlino. Poco prima della Conferenza, è previsto anche un bilaterale tra il premier Giuseppe Conte e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
A Berlino si discuterà di dare il via ad una missione internazionale per garantire il cessate il fuoco e l’inizio di un processo politico che unisca tutte le istituzioni sotto un unico Governo. Si vuole dare nuovo vigore alle iniziative dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salame, visto che sul terreno si registra una flebile tregua degli scontri tra il governo di Fayez al-Sarraj e l’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar.
Saranno presenti il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e poi Italia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi, Algeria e Repubblica del Congo.
L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di annullare le influenze politiche esterne in Libia e di attuare “realmente” l’embargo sulle armi. La diplomazia internazionale è concorde nell’affermare che l’ambizione della Conferenza è quello di lanciare un processo politico sostenibile di cui solo i libici dovranno essere gli attori. Al di là dei buoni propositi si registrano già alcune frizioni: forte è il risentimento della Grecia per non essere stata inclusa nella lista degli invitati al summit tedesco.
Secondo alcune indiscrezioni del Bild, sarebbe stato il presidente turco Erdogan a porre il veto a una partecipazione greca con la cancelliera Merkel. A soffiare sul fuoco è stato anche il generale Haftar, che ad Atene ha incontrato il ministro degli Esteri Nikos Dendias e poi ha fatto twittare sull’account dell’Esercito Nazionale Libico che “la conferenza di Berlino non sarebbe corretta ne valida senza la partecipazione di Grecia e Arabia Saudita“. Anche Tunisia e Qatar hanno protestato per non essere stati invitati. Merkel ha cercato di disinnescare la miccia greca, con una telefonata al premier Kyriakos Mitsotakis, il quale oltre a lamentarsi del mancato invito, si è detto molto preoccupato dell’azione destabilizzatrice della Turchia. Mitsotakis ha chiesto alla cancelliera che alla conferenza venga annullato il recente accordo tra la Turchia e il governo di Tripoli che assicura ad Ankara diritti di estrazione in un’area del Mediterraneo orientale strategica per diversi Paesi, fra cui Grecia e Cipro.
Le mire di Erdogan nel Mediterraneo
L’accordo tra Erdogan e al Serraj per le indagini ed estrazione di risorse minerarie sottomarine, dividendo in due il Mediterraneo, è contestata dall’Unione europea, dall’Egitto e dalla Grecia. L’obiettivo della Turchia è anche impedire la realizzazione del gasdotto EastMed, che parte da Israele e dovrebbe approdare in Puglia. EastMed è oggetto d’interesse da parte di ENI, perché potrebbe usarlo per trasportare gas dal grandissimo giacimento egiziano Zohr, che con i suoi 850 mld di metri cubi è il più grande ritrovamento di sempre nel Meditrraneo. Erdogan sostiene che le concessioni rilasciate dal governo di Cipro alle compagnie petrolifere occidentali, tra le quali c’è Eni sono illegittime perché non tengono conto degli interessi turchi. Due anni fa Erdogan ha bloccato con una nave da guerra turca la Saipem 12000, che si trovava nelle acque di Cipro per effettuare esplorazioni per conto di ENI. Inoltre lo scorso ottobre Erdogan ha inviato la nave Yavuz, a cercare gas e petrolio in una zona in concessione a ENI. Erdogan subito dopo la conferenza di Berlino, molto probabilmente, inizierà le attività di ricerca ed estrazione nella zona di mediterraneo, frutto dell’accordo con al Serraj dello scorso 8 dicembre, con il silenzio “assordante” della Comunità Internazionale e dell’Italia che in quella zona ha diritti di prelazione con ENI.
Le estrazioni nel Mediterraneo di fronte alla Puglia con l’Italia che sta a guardare
La compagnia israelo-inglese Energean sta già lavorando con il governo del Montenegro per cercare giacimenti di metano o di greggio sotto il fondale dell’Adriatico al largo delle Bocche di Cattare, proprio di fronte alla nostra Puglia. La Grecia sta studiando se sfruttare il giacimento Fortuna che dovrebbe trovarsi nel mare Ionio al largo di Cefalonia e Corfu.
L’Albania ha programmi simili grazie ad un accordo stipulato con il governo di Tirana. La Bosnia ha bandito una gara per assegnare la ricerca di giacimenti in quattro blocchi, due minuscoli al confine con la Croazia, uno più ampio nel nord-est del Paese e un blocco assai ampio pari a 3.237 chilometri quadri nella regione dell’Erzegovina fra Mestar e l’Adriatico. La Croazia ha bandito gare per assegnare aree di ricerca. La Slovenia è interessata a sfruttare le risorse in Adriatico. I geologi dicono che sotto il fondo dell’Adriatico e dello Ionio, ma anche nel mare sardo al largo del- l’Asinara, potrebbero nascondersi risorse energetiche impressionanti. Dicono che è lo stesso “tema” geologico che si riscontra nel Mediterraneo orientale davanti all’Egitto (il giacimento Zohr) o di fronte alle coste israeliane (il complesso Leviathan).
Nelle settimane scorse il Montenegro ha concordato con l’Energean permessi per cercare giacimenti in un’area di 338 chilometri quadri di mare. Privo di risorse nazionali, il Paese balcanico intende ridurre l’importazione di energia e preferisce sfruttare ciò che è già dentro i confini nazionali. Non a caso il governo di Podgorica aveva firmato tre anni fa un accordo simile con l’Eni e con la russa Novatek per cercare giacimenti in un’area di 1.228 chilometri quadri. In contemporanea, poche settimane fa alla presenza del primo ministro albanese Edi Rama l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, aveva firmato con Belinda Balluku (Infrastrutture ed Energia) l’accordo per i giacimenti nella zona di Dumrea, nell’entroterra albanese a una quarantina di chilometri a sud di Tirana nella zona di Elbasan. L’area in cui cercare i giacimenti è di 587 chilometri quadri.
L’Italia, invece, preferisce importare quelle risorse via petroliera o via metanodotto. Mentre il Tap sta cominciando a posare la conduttura fra il Salente e l’Albania per fare arrivare il gas dall’Azerbaijan, nel frattempo il governo nella manovra finanziaria ha deciso di introdurre una specie di Imu sulle piattaforme petrolifere mentre un anno fa il Governo Conte aveva deciso una moratoria di 18 mesi su tutti i progetti. Intanto per la riduzione delle commesse petrolifere in Italia la multinazionale di ingegneria Schiumberger ha deciso di licenziare il personale italiano, di chiudere la filiale di Ravenna e di trasferirne all’estero le attività.