(di Massimiliano D’Elia) La politica estera italiana? Domanda a cui è davvero difficile dare una risposta, specialmente ai tempi del governo giallo rosso. Non si riesce a capire se siamo al fianco degli Usa oppure protendiamo verso la Cina, se siamo con Francia e Germania oppure strizziamo gli occhi alla Turchia. La beffa in Libia dove una volta eravamo noi i maggiori partner commerciali e non solo. L’Italia da sempre schierata al fianco del presidente del governo di accordo nazionale, Fayez al Serraj, non ha mai fornito sul terreno il supporto richiesto, affidandosi solo ed esclusivamente alle indicazioni dell’Onu, ovvero di prediligere la soluzione politica per porre fine alla guerra civile tra al Serraj e il signore della Tripolitania il generale Kalifa Haftar.
L’Italia nel 2016 ha posizionato un ospedale militare nei pressi di Misurata, un punto strategico per la vicinanza al porto e per il controllo del Mediterraneo orientale. Da meno di un anno però in Libia entra in scena la Turchia che appoggia militarmente le truppe di al Serraj, mentre la Russia sostiene con mezzi e addestramento le milizie del generale Haftar. L’appoggio esterno alle due fazioni fa si che sul terreno si registri una sorta di compensazione delle forze con un nulla di fatto in termini di conquiste e nuovi posizionamenti. E’ di poche ore la notizia che in Libia le parti hanno dichiarato il cessate il fuoco mentre Haftar ha riaperto i pozzi di petrolio ad est del Paese (per la soddisfazione del Noc e di Eni). Fayez al Serraj ha anche annunciato di avviare il processo che porterà a breve il Paese a libere e democratiche elezioni.
Tornando alla beffa: i turchi sono entrati a Misurata e i militari italiani hanno dovuto spostare il proprio ospedale in una posizione più “funzionale” ha giustificato il ministero della Difesa.
Dopo questa “fulminea annessione” il premier italiano, Giuseppe Conte ha avuto un colloquio telefonico di un’ora con il numero uno della Turchia, Recep Tayyip Erdogan: è riuscito a strappare non le scuse o maggiori chiarimenti, ma alcune concessioni economiche-commerciali. Certo è che il nostro ministro degli esteri, Luigi Di Maio che nel frattempo si è fatto fotografare su un lussuoso yacht in Sardegna avrebbe dovuto ascoltare le richieste di al Serraj che chiese proprio a noi, per primi visto il legame storico, maggiore interessamento e sostegno. Ad approfittare del disinteresse italiano ed internazionale in generale è stata la Turchia che nel frattempo ha anche stretto un patto di ferro con il ricchissimo Qatar.
Il governo libico ha concesso alla Turchia per 99 anni il porto di Misurata, sul Golfo della Sirte, base strategica per le operazioni navali nel Mediterraneo orientale e l’aeroporto di al Watiya, in Tripolitana, la Turchia, secondo i media locali, avrebbe già inviato 50 velivoli.
L’intesa, scrive Repubblica, è stata siglata il 17 agosto durante una visita del ministro della Difesa turco Hulusi Aktar assieme al suo collega del Qatar, Khaled al Attiyah. Starà ora al danaroso governo di Doha, stretto alleato di Ankara, coprire i costi della ricostruzione libica. Non estranea al patto è però la Germania: a Tripoli lo stesso giorno c’era anche il ministro degli Esteri di Berlino, Heiko Maas, la cui presenza viene attribuita, secondo alcuni osservatori, a un appoggio tedesco alla Turchia nel Mediterraneo, mentre La Francia di Emmanuel Macron si sta strenuamente posizionando contro Ankara.
L’Italia ha ottenuto in cambio quello che già aveva, la possibilità per le navi dell’Eni di poter trivellare nell’area marittima prevista dal Memorandum firmato nel novembre 2019 da Turchia e Libia.
Le tensioni con l’Italia
Nel febbraio 2018, quando la nave italiana Saipem 12000, legittimamente in viaggio verso la acque cipriote dove doveva effettuare alcuni lavori, è stata fermata dalla marina turca e costretta a tornare indietro. L’Italia infatti, che lì ha interessi non solo importanti ma anche legittimi, oggi come allora non riesce a liberarsi dalla morsa delle provocazioni turche. Il nostro paese ha ottenuto legalmente le concessioni, ad essere nell’alveo dell’illegalità è invece la Turchia. Questo perché le decisioni prese da Nicosia sono scelte politiche operate dall’unico governo di Cipro internazionalmente riconosciuto, peraltro appartenente all’Unione Europea. Mentre la rivendicazione di Ankara si basa sul posizionamento di uno Stato, quale quello situato nella parte occupata dell’isola, riconosciuto unicamente dalla stessa Turchia.