(di Massimiliano D’Elia) Mentre la Turchia ha approvato per un anno l’invio delle sue truppe a Tripoli il 7 gennaio la missione europea andrà a Tripoli e a Bengasi, per cercare di far dialogare le due parti, Haftar e al Serraj, cercando di strappare un accordo politico duraturo. I nostri rappresentanti degli esteri non hanno capito che ora devono dialogare con Turchia e Russia, viste le loro ingerenze dirette sul terreno: Haftar e al Serraj sono ormai diventati dei burattini nelle loro mani.
L’Alto rappresentante degli Affari esteri europei Joseph Borrell guiderà la missione Ue (Italia, Francia, Germania e Inghilterra) che tenterà di convincere Fayez al Serraj e Khalifa Haftar a mettere fine al conflitto (più un sogno che una plausibile possibilità). Tutto questo in attesa della conferenza di Berlino, prevista il 14 gennaio prossimo, di cui però non si ha ancora nessuna conferma. Il giorno dopo la missione della Ue a Istanbul si incontreranno Recep Tayyip Erdogan che appoggia il governo di Tripoli, e Vladimir Putin che appoggia (con i mercenari del gruppo Wagner) il generale Haftar. L’incontro era già programmato per inaugurare il gasdotto TurkStream che dovrebbe trasportare gas russo in Europa tramite la Turchia. Al centro dell’incontro anche i due dossier, quello siriano e quello libico. Probabilmente decideranno in quella sede come dividersi la Libia per poi imporre le loro politiche energetiche all’Europa che proprio ieri ha festeggiato il gasdotto EastMed che trasporterà le risorse provenienti da Israele direttamente a Cipro, passando per la Grecia, in Italia arriveranno in Puglia.
Gli Stati Uniti hanno dimostrato fino ad ora un marcato disinteresse alla questione libica (sono alle prese con un confronto molto duro in Iraq con gli affiliati della Repubblica iraniana). Solo ieri Donald Trump ha telefonato a Erdogan per chiedergli di evitare una escalation nel conflitto, visto che un intervento militare renderebbe la questione ancora più complicata.
Non è un caso che ieri il portavoce del Governo di accordo nazionale (Gna), di Tripoli, Mustafa al Mujahie, ha comunicato il ritiro dei mercenari russi della compagnia Wagner dai sobborghi di Tripoli, senza saper fornire le reali motivazione di tale disimpegno. Probabilmente l’invito di Trump ha sortito i suoi effetti visto che Putin è in debito con gli Usa per l’aiuto ricevuto in occasione di un tentato attacco terroristico dell’Isis in Russia.
Il piano per spartirsi la Libia
Francesco Semprini su La Stampa ci spiega il piano di Libia e Russia per spartirsi il Paese nordafricano. L’ingresso dei soldati turchi in Libia darà una maggiore impronta «internazionale». Mosca, sebbene abbia sempre mantenuto rapporti con Tripoli, sul campo ha di fatto sostenuto l’uomo forte della Cirenaica, in ultimo con l’invio di mercenari di Wagner, la società di Yevgheni Prigozhin, fedelissimo di Vladimir Putin. Il loro arrivo ha cambiato gli equilibri sul campo dando maggiore incisività alle azioni di terra delle forze di Haftar che godevano già di una superiorità aerea rispetto a quelle di Sarraj grazie all’apporto dei caccia e dei droni emiratini. La Russia mira ad ampliare la propria area di influenza sulla sponda sud del Mediterraneo, il tutto nell’ambito di quella visione strategica con cui Vladimir Putin vuole far tomare il suo Paese ad essere una superpotenza e interlocutore privilegiato della regione allargata del Medio oriente e Africa settentrionale. Schema simile a quello di Erdogan il cui intervento in Libia porterà a decisive mutazioni sul campo e cambi di equilibri, visto che notoriamente la Turchia quando entra in una partita difficilmente abbandona il gioco, specie perché animata da quella voglia di ritorno alla «grandezza ottomana» che la vede protagonista in Siria e Somalia. L’intervento turco sarà concentrato nelle zone occidentali del Paese ma con una attenzione verso la minoranza turcofona di Misurata funzionale a giustificarne l’interventismo a «protezione dei fratelli». Ma ancor più funzionale al progetto di creare una base di espansione dell’«islam politico» in Libia. Le dinamiche in atto mostrano che Mosca e Ankara potrebbero decidere a tavolino un «pareggio» perla spartizione del Paese, con la Cirenaica e il Fezzan gravitanti nell’orbita di Russia, Egitto, Emirati e Francia (sempre abile a smarcarsi e reinserirsi nei dossier di interesse, in questa caso per la Total verso i giacimenti nell’est) . E la Tripolitania sotto l’egida di Ankara con Misurata punto di riferimento del nuovo assetto turco centrico.
L’Italia? Non pervenuta – ONU, assente e UE, ininfluente.