(di Luca Fiorletta) Una sirena squilla nel cuore dell’Europa orientale e ricorda al mondo occidentale che la guerra esiste davvero, che non è un fatto solo esotico o lontano nel tempo: la sua realtà è tale perché propria dell’essere umano e l’uomo, si sa, è lo stesso da sempre. Neanche la pandemia dei nostri giorni lo ha cambiato.
L’impressione fatta dal presidente Putin, nel discorso con cui ha riconosciuto le repubbliche separatiste di Donetsk e Lu’hansk, è stata di difficile interpretazione. Ho capito che nel nostro sistema mentale occidentale abbiamo solo fatto tanta confusione di fronte alla lezione di Storia impartita dal leader russo, con notizie più o meno rispondenti al vero, tanto che tutti i media hanno parlato di ritorno dell’Unione Sovietica, di pensiero sovietico o di cose simili. La memoria storica ci ricorda l’Unione Sovietica ed il suo modo di risolvere le controversie più con l’istinto che con la lungimiranza politica, come nelle vicende di Budapest e Praga.
Proviamo, quindi, a ricostruire alcuni punti, cercando di affrontare il tutto con la maggior dose di libertà e lucidità mentale possibile, nell’analizzare i comportamenti di un uomo che sta dando, oggi, non poche preoccupazioni al mondo Occidentale.
Narod, è un termine che mi ha colpito molto nel discorso del 21 febbraio scorso: questo termine è tra i più classici della cultura russa, perché evoca l’idea di un popolo personificato, quel popolo figlio dello Zar padre e padrone della vita dei moscoviti; il narod è un’idea molto più complessa di quello che noi immaginiamo, perché era “lui” a gestire la terra, il mir – in russo indica la proprietà comune di una collettività contadina -, attraverso gli zemstva fortemente voluti nella Russia dell’800, quella che provava ad uscire dal mondo della servitù della gleba a suon di russificazioni, panslavismo ed annessioni di terre.
Ukraina, altro termine interessante, proveniente dallo slavo orientale, che significa letteralmente “vicino al confine”, a testimonianza che il primo Rus’ nacque a Kiev nel IX secolo dopo Cristo, all’epoca delle invasioni vichinghe.
Lo strafalcione storico dei nostri media
Il ritorno dell’Unione Sovietica? Non proprio così perché la realtà è che Putin guarda molto più indietro, quando ci racconta di Kruscev che regalò la Crimea all’Ucraina e di Brest Litovsk, ma la sua linea è chiara, è la stessa di Ivan III di Moscovia.
La Rus’ di Kiev è stato il primo Stato organizzato degli slavi orientali, che decise nel 988 d. C. di diventare cristiana ortodossa, a seguito di un evento quasi fantasioso: sembra che san Vladimir I cercasse la religione più adatta al proprio popolo e, dopo aver mandato emissari anche a Roma, rimase estasiato da una celebrazione solenne in Hagia Sophia a Costantinopoli e decise che quella ortodossa fosse la vera fede da seguire. Decisione felice per i cristiani orientali che da allora troveranno sempre rifugio sotto l’ombrello russo, sempre pronto a difendere i credenti in quanto investito da Dio della missione civilizzatrice e redentrice dei popoli slavi.
Da qui possiamo già iniziare a riflettere sul panslavismo che ancora oggi muove la società russa, a distanza di un secolo dalla Rivoluzione d’ottobre. Ivan III Daniloviic è il primo Granduca a prendere e pretendere il titolo di Zar, cioè Cesare, in quanto sposo dell’ultima discendente dei Paleologi di Bisanzio. Un personaggio molto importante nella Storia russa, in quanto fu lui a definire Mosca la “Terza Roma” e fu lui a chiarire apertamente che tutti i cristiani ortodossi erano protetti da Mosca, quindi erano in qualche modo, per parafrasare, tutti moscoviti, tutti sottoposti alla Volontà di Dio che in terra si configurava con la volontà dello Zar, il cui simbolo dal 1493 è l’aquila bicipite, ripresa nello stemma della Federazione Russa nel 1993.
Mosca, per lui e per i suoi successori, è l’erede di Kiev, caduta sotto i colpi dei Khanati tartari che rappresentano il male, pertanto è la Moscovia a dover liberare la Rus’, cosa che avviene nel corso del XVI secolo a colpi di cannone davanti Kazan.
Una volta ricostituita l’integrità territoriale dei domini slavi l’ulteriore passo era russificarli e proteggerli con una serie di guerre preventive (le guerre del Nord). Se Ivan diede l’idea, Pietro I Romanov la migliorò, perché con lui gli slavi diventavano davvero russi, anche quando non erano né slavi né russi , mentre Caterina II compì l’opera finale di pianificare, dopo la caduta della Crimea grazie al Principe Potemkin (gli venne dedicata la famosa corazzata), il “progetto greco”, la conquista russa di Costantinopoli ed il compimento della missione di unificazione politico-religiosa dei popoli orientali cristiani vessati dai perfidi occidentali e dai terribili islamici.
Se smettiamo, per un attimo, di guardare solo agli ultimi 50 anni, potremo capire gli obiettivi futuri del nuovo zar Putin: il Mediterraneo e gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, dopo aver completato la riunificazione dell’Europa dell’est e quella slava. Ha già dimostrato di incarnare bene l’animo storico dei moscoviti, sebbene lui sia pietroburghese; questa volta, a differenza dei predecessori, non ha contadini da accontentare con concessioni o da sedare nelle ribellioni, non ha costituzioni da concedere o industrie da costruire: ha solo voglia di raggiungere quegli obiettivi storici che sono il cuore del patrimonio culturale russo, per realizzare il sogno che, tra gli altri, fu anche di Dostoevskij.
Se vogliamo conoscere il nostro avversario, impariamo prima la Storia del suo Paese. E’ chiaro, tuttavia, che il conflitto armato per ristabilire gli equilibri della storia non sono mai giustificati e giustificabili