(di Massimiliano D’Elia) Nella manovra finanziaria è stato inserito “l’azzeramento graduale dei contributi all’editoria”. Il provvedimento mira a tagliare i già risicati fondi destinati al settore, di per sè difficili da ottenere a causa dei numerosi cavilli burocratici esistenti. Solo le testate giornalistiche storiche riescono ad usufruirne. Le più piccole e soprattutto quelle digitali non riescono ad attingere a tali fondi perchè non possono anticipare il denaro che viene poi ristorato dopo un anno, …forse!. Ma, come detto, non tutti possono presentare domanda per tali fondi.
Sono privilegiate le cooperative di giornalisti, nel caso specifico. Una struttura societaria difficile da costituire i cui eventuali utili non possono essere suddivisi in “toto”. A questo punto, probabilmente, azzerare i contributi all’editoria è solo l’ultimo passaggio di una strada già segnata. Allora come può andare avanti una testata giornalistica? L’unico modo è armarsi di tanta passione perchè solo quella ti dà la forza di andare avanti. Fare il giornalista oggi non è più redditizio ed ambito come una volta. Molti colleghi si sono avvicinati alla professione solo per passione. Ogni giorno ci si sveglia in ricerca di una collaborazione, l’assunzione è diventata un sogno.
In Italia siamo ancora in una fase di transizione dove non ci si è resi conto che la “carta stampata” è finita. Lo dicono i numeri delle vendite, in progressivo e forte calo giorno dopo giorno. Dall’altra parte della medaglia c’è la stampa digitale, ancora giovane in Italia e non ancora digerita dagli editori. Le aziende che vogliono pubblicizzare il proprio “brand”, sembra siano ancora ancorate a vecchi schemi. Comprare intere pagine di giornali cartacei. Difficilmente dedicano risorse alla pubblicità su testate giornalistiche “on-line”. Il risultato? L’inquinamento delle testate “on line” di spazi pubblicitari randomizzati di Google o di altre piccole agenzie pubblicitarie. I guadagni che derivano da tali pubblicità sono davvero modesti e non consentono di mandare avanti un’dea editoriale imprenditoriale.
La Soluzione
La soluzione potrebbe essere quella di far prevedere, “per legge” alle aziende, nel proprio bilancio, una voce di spesa per l’informazione. Fondi, poi da destinare automaticamente ad una Entità “IMPARZIALE” da costituire (una specie di 8 per mille). Ogni giornale cartaceo e/o testata on line, secondo i requisiti di legge già esistenti e soprattutto secondo il traffico prodotto nell’anno riceverebbe fondi “certi” e non in maniera “clientelare”. Un circolo virtuoso che darebbe la spinta necessaria ad un settore che non può e non deve morire così. Per fare ciò, occorre federarsi e portare avanti questo progetto ambizioso.
Molto significative anche le parole del segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, «il governo conferma, nello schema di manovra, di voler colpire l’informazione e il diritto dei cittadini di essere informati. Più che una misura di contenimento della spesa, si tratta di una guerra a tutte le voci libere e a qualsiasi forma di dissenso».
Per Lorusso, «si illude chi pensa che ad essere colpiti saranno i grandi giornali. A farne le spese saranno le testate no profit, le cooperative senza scopo di lucro, i giornali delle diocesi. Si ammazzano le piccole voci, il pluralismo dell’informazione, i punti di riferimento per intere comunità».
Nell’elenco delle testate nel mirino dell’iniziativa del governo giornali come Avvenire, il Manifesto, il Roma, il Messaggero di Sant’Antonio, una miriade di piccole testate. «Se si considerano i numeri del settore e dell’indotto, circa diecimila posti di lavoro vengono messi a rischio dalla furia cieca di chi, non da oggi, ha deciso di colpire scientificamente l’articolo 21 della Costituzione e il diritto dei cittadini ad essere informati. Un conto è pretendere l’uso rigoroso e trasparente delle risorse, che il sindacato dei giornalisti ha sempre sostenuto, un altro è azzerare tutto», incalza il segretario Fnsi.
«Il combinato disposto 5 Stelle-Lega è devastante per l’informazione – afferma ancora Lorusso –. Da una parte si distrugge occupazione, dall’altra si avviano regolamenti di conti soprattutto con chi pubblica notizie sgradite al governo o, più semplicemente, e si pensi ai tanti giornali cattolici, ha sposato la linea della Chiesa di papa Francesco sulle politiche di accoglienza».
L’auspicio, conclude il segretario generale, «è che il Parlamento faccia valere la propria autonomia e scelga di salvaguardare il pluralismo dell’informazione, pilastro insostituibile della democrazia liberale».