Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu questa settimana ha ribadito che, in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la libera navigazione è un fattore incontestabile. Il mare è una via di comunicazione essenziale per il commercio mondiale globalizzato, considerando che circa l’80% degli interscambi viaggiano su una flotta di 105.000 navi portacontainer, petroliere e navi mercantili che solcano i mari giorno e notte.
di Massimiliano D’Elia
Gli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi nel Mar Rosso hanno costretto molte navi a cambiare rotta e a intraprendere percorsi molto più lunghi, intorno al Corno d’Africa, riducendo così l’attività dei container nel canale di Suez del 90% (un terzo del traffico marittimo mondiale transita dal Mar Rosso). La rotta è una via vitale per il commercio tra Europa e Asia, nonché per il trasporto di petrolio e gas. Di fronte a viaggi molto più lunghi e a maggiori consumi di carburante, oltre a premi assicurativi più alti, le compagnie di navigazione passeranno inevitabilmente i maggiori costi alle economie delle società moderne occidentali.
Oltre agli Houthi sostenuti dall’Iran, l’Etiopia, che non ha accesso al mare, sta “noleggiando” un’intera base navale nel Mar Rosso nel vicino Somaliland. Il canale di Panama è a corto d’acqua e le rotte commerciali si stanno ampliando verso l’Artico, per via dello scioglimento dei ghiacciai, mentre il boom delle energie verdi sta catalizzando la corsa per l’estrazione di risorse strategiche dai fondali marini.
Il disordine nei mari aperti è ormai una realtà che richiede una risposta globale coordinata perchè la sicurezza e la stabilità dei tratti marittimi sono fondamentali per l’economia mondiale. È necessario, pertanto, agire con determinazione per dissuadere minacce e preservare la libertà di navigazione, un principio chiave nel diritto internazionale marittimo.
La lotta per il dominio marittimo
La lotta per il dominio navale si riflette sul libero commercio e sulla sicurezza globale. In varie regioni del mondo, si assiste ad un intensificarsi delle tensioni marittime. Nel Mar Nero, si registrano continui incidenti per via della presenza di mine e navi da guerra danneggiate, mentre l’Ucraina continua la sua guerra per allontanare la marina russa dalla Crimea. Nel Mar Baltico e nel Mare del Nord, si sta, di fatto, combattendo una “guerra ombra” che ha come target gasdotti e cavi sottomarini. In Asia, invece, si assiste alla più grande concentrazione navale militare straniera dalla seconda guerra mondiale, a causa delle velleità cinesi sull’Isola di Taiwan e al dominio nel Mar Cinese Meridionale e nell’Oceano Indiano.
Questa serie di eventi segnano un profondo cambiamento sulla stabilità degli oceani del pianeta. Nonostante un’economia ancora fortemente globalizzata, le rivalità tra le superpotenze e il declino delle regole globali stanno intensificando le tensioni geopolitiche. Gli oceani, che dal 1945 sono sempre stati considerati una zona stabile, sono ora un luogo di aspro confronto e tensione, riportando le lancette della storia indietro ai tempi della Guerra Fredda.
Il mare come via di comunicazione strategica
A partire dagli anni ’90, il mondo marittimo ha subito la crescita esponenziale della globalizzazione e della supremazia americana. Attualmente, il 62% dei container è trasportato da cinque aziende asiatiche ed europee, il 93% delle navi è costruito da Cina, Giappone e Corea del Sud, e l’86% è demolito in Bangladesh, India o Pakistan. La Marina degli Stati Uniti ha svolto un ruolo dominante garantendo la sicurezza dei mari con 300 navi da guerra e 340.000 marinai. La Cina oggi con 340 navi da guerra ha messo in discussione la primazia della Marina degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico. Altri attori non statali, come gli Houthi nel Mar Rosso (finanziati e sostenuti dall’Iran), stanno invece dimostrando come si può destabilizzare il commercio marittimo mondiale con poche risorse e senza investire ingenti finanziamenti in armamenti particolarmente sofisticati.
In tutto ciò, non aiuta il fatto che gli Stati Uniti non abbiano ratificato il principale trattato globale sul diritto del mare. Né l’Occidente può ristabilire rapidamente la sua supremazia navale dopo anni di cronico sottoinvestimento, detenendo oggi solo il 5% della capacità mondiale dei cantieri navali.
Le norme del diritto del mare non vengono rispettate, con la Cina che ignora le sentenze dei tribunali mentre risulta in aumento il fenomenro del contrabbando dovuto alle sanzioni occidentali. Il 10% di tutte le petroliere costituiscono una anarchica “flotta fantasma” che, spegnendo in navigazione i trasponder, operano al di fuori delle regole iternazionali, rifornendo anche paesi che sono sotto embargo: Il fenomeno è raddoppiato negli ultimi 18 mesi. Gli investimenti cinesi in missili anti-nave hanno allontananto le navi americane dalle proprie coste mentre le mutazioni dei fondali marini a causa dei cambiamenti climatici, stanno ulteriormente complicando la situazione.
Il disordine nei mari aperti
Di fronte a questa complessa e mutevole realtà, è evidente che il mondo si sta dirigendo verso un periodo di disordine nei mari aperti. I costi di questo disordine saranno significativi, con impatti sul commercio marittimo che rappresenta circa il 16% del PIL globale. Il sistema di navigazione si adatta alle perturbazioni, ma solo fino a un certo punto. Gli attacchi degli Houthi hanno già portato ad aumenti delle tariffe assicurative e di spedizione. Quando si verificano blocchi alla navigazione dovuti a tensioni prolungate, i riflessi diventano maggiormente evidenti ed altamente impattanti sulle società, come il collasso delle spedizioni nel 2021 e i disagi dovuti alla crisi del grano nel Mar Nero nel 2022.
Conflitti su vasta scala in mare potrebbero avere conseguenze devastanti, con attacchi mirati a gasdotti, rotte di gas naturale liquefatto (GNL) o ai cavi per le reti internet dati che potrebbero paralizzare le infrastrutture critiche di paesi interessati. L’economia della conoscenza, e il dominio di Wall Street e della Silicon Valley, dipendono, ad esempio, da circa 600 cavi dati subacquei, altamente vulnerabili ai sabotaggi. Se poi consideriamo un blocco alle esportazioni dei semiconduttori di Taiwan a soffrirne sarebbe il 5% del PIL globale.
Una risposta alla instabilità è necessaria. I paesi occidentali devono rafforzare il loro vantaggio tecnologico, investendo in settori chiave come sottomarini e naviglio remotizzabile. La cooperazione tra governo e settore privato per monitorare infrastrutture marittime vulnerabili è essenziale, così come l’implementazione di backup per i cavi che trasportano la rete internet da una parte all’altra del mondo. Le alleanze dovranno essere ampliate per garantire risorse sufficienti per il controllo dei mari. Gli Stati Uniti stanno già rafforzando i loro partenariati navali in Asia:la risposta congiunta alle azioni degli Houthi nel Mar Rosso costituiscono un modello promettente da coltivare e replicare.
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