Far volare un piccolo drone per ricaricare ed estrarre dati dai bug (sensori microspia) all’estero. L’intelligence inglese studia una soluzione affidandosi a piccoli droni in grado di compiere la loro missione al buio e sotto mentite spoglie.
(di Massimiliano D’Elia) Sensori spia posti in territori lontani anche non nazionali che funzionano finché la batteria è carica, anche se si utilizzano batterie di lunga durata e ad energia solare (se posizionanti all’esterno). Dopo mesi o anni di impiego continuo necessitano di manutenzione ovvero di una ricarica nuova, fatta da un operatore sul campo.
Fonti operative di intelligence affermano che è difficile posizionare un bug, richiedendo agli operatori di eseguire l’installazione sotto mentite spoglie, ma è molto più difficile garantire che i sistemi di spionaggio rimangano carichi per lunghi periodi: “Non è impossibile portare qualcuno in una posizione chiave per posizionare un dispositivo di ascolto, ma ciò che è più difficile è continuare a rimandare indietro le persone per ricaricarlo, ciò, comporta la presenza in zona dell’agente per mesi o anni”.
Per cercare di risolvere questa lieve debolezza nel settore operativo si è pensato all’utilizzo dei droni, possono essere comandati da remoto sostituendo così l’uomo sia nella fase di posizionamento del “bug” sia in opere di manutenzione e caricamento delle batterie. Questa futuristica opportunità è stata presa in esame dall’MI5 inglese, servizio segreto interno di sua Maestà. Secondo quanto racconta il The Guardian, l’MI5 avrebbe finanziato segretamente una fondazione di ricerca la Imperial College per creare un drone (quadricottero) per uso agricolo in grado di posizionare e caricare sensori (bug) negli angoli più remoti del pianeta.
Il lavoro della ricerca è stato pubblicato lo scorso settembre in un documento ad accesso aperto sottoposto a peer review, IEEE Access.
Il rapporto sul progetto dell’Imperial College cita in alcuni passaggi il coinvolgimento del Government Communications Planning Directorate (GCPD) con nome in codice Whitehall. L’MI6 (il servizio segreto esterno) ha avvisato tempestivamente l’MI5 per cercare di far rimuovere discretamente il riferimento che doveva rimanere segreto.
Quanto detto racconta come i servizi di intelligence stiano cercando soluzioni alternative all’utilizzo di agenti in operazioni pericolose e che richiedono comunque una presenza duratura dell’operatore sul luogo dell’indagine. Una condizione che espone l’agente segreto e l’intera Agenzia a rischi notevoli in grado di compromettere l’operazione stessa e l’immagine del servizio di intelligence nazionale agli occhi della Comunità Internazionale.
Nascondere le tecnologie di intelligence in strumenti di uso comune e commerciale è una pratica non nuova e molto utilizzata dai servizi segreti cinesi e giapponesi.
Quanto raccontato ci fa conoscere un mondo, quello delle operazioni sotto copertura in continua evoluzione che richiede ingenti investimenti nel settore della ricerca e sviluppo in un contesto di assoluta riservatezza e partecipazione con il settore privato.