Una sorta di tacito accordo tra le parti. Noi lanciamo l’offensiva voi vi arrabbiate “un pochino”, promettendo “vendetta” ma poi tutto ritorna come prima, ovvero ci continuiamo a combattere per procura. Una soluzione che rimette a posto le lancette dell’orgoglio.
di Antonio Adriano Giancane
Ieri un nuovo consiglio di guerra a Tel Aviv, al termine del quale il portavoce dell’Idf Daniel Hagari ha detto: «Non estenderemo le operazioni militari». Al netto di pochi danni e di una bambina beduina ferita lievemente, l’attacco massiccio a mezzo droni e missili cruise lanciato dall’Iran (circa 370 proiettili) non ha provocato danni significativi. Si è trattato più di uno show di forza per vendicare l’attacco israeliano al consolato a Damasco dove hanno perso la vita in 14 tra diplomatici e generali di alto livello delle truppe speciali dei Pasdaran.
L’intelligence Usa, a mezzo carta stampata, aveva preannunciato l’attacco iraniano cercando di convincere Teheran a desistere. Impossibile, gli ayatollah dovevano rispondere all’onta subita a Damasco e calmierare il sentimento popolare sempre più vicino alle posizioni intransigenti dei Guardiani della Rivoluzione, rispetto a quelle più miti assunte dal parlamento nazionale.
La conferma dell’imminente attacco è stata data dalla Turchia che ha fatto sapere agli Usa che gli ayatollah avevano deciso di attuare la vendetta annunciata con l’operazione «Promessa Mantenuta».
Una operazione annunciata, dichiarata anche negli obiettivi individuati, prettamente di carattere militare: un modo per dire all’avversario di sempre che si è costretti a rispondere all’attacco di Damasco senza però voler innescare una escalation vera e propria. Una sorta di tacito accordo tra le parti. Noi lanciamo l’offensiva voi vi arrabbiate “un pochino”, promettendo “vendetta” ma poi tutto ritorna come prima, ovvero ci continuiamo a combattere per procura. Una soluzione che rimette a posto le lancette dell’orgoglio. La stessa cosa Teheran aveva fatto in Iraq quando ha dovuto lanciare qualche missile sulla base americana, in risposta all’uccisione del super generale iraniano Qasem Soleimani. Anche in quell’occasione tutto era stato organizzato per bene, tant’è che i militari americani e dei contingenti stranieri presenti riuscirono a rifugiarsi con tutta calma nei bunker sotterranei.
Ritornando all’operazione <<Promessa Mantenuta>> tre ondate di droni (170 circa) sono partite alla volta di Israele percorrendo lentamente 9 ore prima di entrare nello spazio aereo nemico. Sono stati intercettati tutti sui cieli dell’Iraq, della Giordania e della Siria e il 99% è stato facilmente abbattuto. Stessa sorte è stata riservata ai 30 missili Cruise che hanno impiegato circa due ore per percorrere poco più di 1000 Km. Solo 10 missili balistici (12 minuti di volo) sono riusciti ad infrangere la fitta rete di difesa missilistica israeliana garantita dall’Iron Dome. I bersagli dei missili balistici, come ampiamente annunciato, sono stati le basi nel deserto del Negev e nel Golan e non Tel Aviv dove avrebbero potuto fare più danni e soprattutto morti tra i civili, innescando l’inevitabile controffensiva dell’Idf in territorio iraniano.
Alcuni centri studi internazionali sostengono che l’Iran abbia impiegato oltre 80 tonnellate di esplosivo per un controvalore di circa un miliardo di euro. Poco male per una economia in forte sofferenza per via della sanzioni americane.
Le reazioni
Joe Biden invita Israele a considerare una vittoria l’attacco respinto e a fermarsi. Tel Aviv, invece, chiede nuove sanzioni contro gli iraniani. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant sostiene che occorre formare una coalizione contro la minaccia globale. Benny Gantz, che ha lasciato l’opposizione per entrare nel consiglio di guerra ristretto ha tuonato: «Bisogna sfruttare le alleanze regionali, poi l’Iran pagherà il prezzo nei modi e nei tempi che ci sono più consoni».
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