Lukashenko rieletto presidente per la settima volta consecutiva

di Aniello Fasano

Aleksander Lukashenko è stato rieletto Presidente della Bielorussia per il suo settimo mandato consecutivo, superando di gran lunga l’80% delle preferenze, secondo gli exit poll pubblicati dall’agenzia russa Tass. L’opposizione bielorussa e l’Unione Europea le definiscono come una “elezioni farsa”. Lukashenko, ancora prima della rielezione, aveva dichiarato che “la Bielorussia è una democrazia solida, non mi interessa se l’UE non riconoscerà il voto”.

È come un “rituale per dittatori”: sono stati cinque i nomi sulla scheda elettorale, tutti nomi farsa, sapientemente scelti per favorire il candidato presidente uscente.

Nessuna storia per gli oppositori, in galera o in esilio. Il comunista Sergei Sirankov, il repubblicano Alexander Jizhniak e il figlio di uno storico politico bielorusso, Oleg Gaiduke’vich e Anna Kanopatskaya, l’unica che ha osato criticare la gestione di Lukashenko. Intervistata dall’EFE aveva affermato che “il modello autoritario imposto da Lukashenko dal 1994 è esaurito e sarebbe giunto il momento per lui di dimettersi e riformare il sistema politico ed economico”.

Le elezioni, arrivano quattro anni e mezzo dopo le pesanti proteste scatenate a livello nazionale per le accuse di brogli elettorali, che furono brutalmente represse. Nel 2020, le accuse di frode elettorale innescarono proteste in tutto il paese con centinaia di migliaia di bielorussi in piazza. Più di 35 mila persone furono arrestate, molte delle quali torturate in carcere o costrette a fuggire dal paese. Da allora, il regime di Lukashenko, sostenuto da Vladimir Putin, che sostiene la guerra russa in Ucraina, ha intensificato la repressione dei più piccoli atti di dissenso, accusando i critici di estremismo e terrorismo. Media indipendenti messi a tacere e il dissenso criminalizzato. “Quello che nel mondo democratico vengono chiamate elezioni non hanno nulla in comune con queste in Bielorussia“, aveva dichiarato a Davos la leader dell’opposizione in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya. “Perché è per lo più come un rituale per i dittatori quando si riconfermano“. Con la repressione esercitata dai servizi di sicurezza al comando, non è possibile protestare. “Adesso non è il momento per il popolo bielorusso di scendere in piazza o organizzare rivolte visibili, poiché il livello di repressione è semplicemente troppo alto“. ha affermato Tsikhanouskaya.

La repressione ha spinto sempre più la Bielorussia di Lukashenko vicino a Mosca riducendo Minsk a uno stato vassallo della Russia, una dipendenza che si è rivelata preziosa per Putin quando la Bielorussia è servita da base per la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022.

Ma con l’arrivo dell’amministrazione Trump e le crescenti aspettative per i colloqui di cessate il fuoco sull’Ucraina, gli osservatori affermano che Lukashenko sembra anche tentare di rilanciare le sue relazioni con l’Occidente. Ha un pò sorpreso la grazia concessa a 250 prigionieri politici a luglio scorso come pure l’accesso nelle prigioni a due note figure dell’opposizione, Maria Kalesnikava e Viktor Babariko, che erano state isolate per quasi due anni senza alcun contatto con il mondo esterno.

Artyom Shraibman, analista politico bielorusso sostiene che “i condoni sembrano essere un tentativo di Lukashenko di aprire un dialogo con l’Occidente, non necessariamente in attesa di una revoca immediata delle sanzioni, ma almeno per valutare se sia possibile allentarle o rimuoverle. Lukashenko non vorrebbe che il suo regime venisse escluso se nella regione iniziasse una sorta di distensione”.

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