La domanda che tutti ci siamo fatti, ma chi finanzia i talebani? Certo è che il denaro è servito e tanto per vivere nella clandestinità per 20 anni. Atteso che di armi ora non ne hanno più bisogno perchè hanno i depositi pieni, lasciati dal disciolto esercito afgano, è comunque interessante riuscire a comprendere come poco più di 100mila uomini siano riusciti a sopravvivere nell’ombra in tutti questi anni . A chiarirci le idee, mettendo a sistema dati e risorse, ci ha pensato Luciana Grosso su Il Foglio che ha riportato la dichiarazione del leader talebano Mullah Mohammad Yaqoob secondo cui le entrate dei talebani nel 2020 sono state pari a 1,6 miliardi di dollari a fronte di poco più di 5,5 miliardi di dollari del governo regolare retto da Ghani. Sulla loro provenienza la Grosso prende come riferimento un’analisi pubblicata su Thè Conversation da Hanif Sufizada, del centro studi sull’Afghanistan dell’Università di Omaha, di questi 1,6 miliardi la fetta più grande, poco meno di un quarto, arriverebbe dalla produzione e vendita di droga. L’84 per cento della produzione mondiale di oppio (alla base sia dell’eroina che dell’hashish che si compra per strada) arriva dall’Afghanistan. I talebani controllano tutta la filiera e, a quel che si sa, impongono una tassa del 10 per cento a ogni suo anello, dai contadini che coltivano i papaveri ai trafficanti che fanno arrivare la droga, fatta e finita, fuori dal paese. Un’altra fetta molto grande delle entrate dei talebani, più o meno altri 400 milioni, arriva indirettamente dalle numerose e ricchissime miniere afghane. Nelle montagne del Paese si nascondono ferro, marmo, rame, oro, zinco e terre rare, che costituiscono l’unico settore potenzialmente molto redditizio del paese. In realtà i talebani non si occupano direttamente di sfruttamento ed estrazione, ma impongono un pesantissimo
dazio alle aziende che lo fanno. Poi ci sono alcune entrate che per certi aspetti si possono definire lecite e che hanno a che fare con il modo in cui i talebani, negli anni, hanno investito e riciclato i loro soldi: speculazioni immobiliari, esportazioni, commercio di manufatti, pezzi di ricambio per auto, minerali: tutte attività che, secondo le stime, possono valere altri 300 milioni di dollari. A questo punto, nel nostro fare i conti in tasca ai talebani, siamo arrivati a circa 1 miliardo. Mancano ancora circa 600 milioni. Secondo l’analisi di Sufizada, gran parte di questi questi soldi (500 milioni) va ricercata sia nelle donazioni di ricchi privati simpatizzanti e di cosiddette organizzazioni
di beneficenza mediorientali (che in realtà sono sulla lista nera degli Stati Uniti perché accusate di finanziare il terrorismo) sia nei finanziamenti sottobanco di paesi ostili agli Stati Uniti e in qualche modo vicine ai talebani, come Russia, Iran, Arabia Saudita e Pakistan. Mancano, a questo punto, circa 100 milioni. Da dove arrivano? Dalle tasse. Man mano che i talebani, in questi anni e soprattutto mesi, hanno preso il controllo di alcune zone del paese, lì hanno instaurato il loro governo e dunque le loro imposte: l'”ushr” che è una tassa del 10 per cento sul raccolto di un contadino – e “zakat”, una tassa sul patrimonio del 2,5 per cento, oltre a quelle su strade, attività, imprese, negozi. Arriviamo così, alla cifra di 1,6 miliardi di dollari. Una cifra che, secondo quanto scritto nel report della Nato del settembre 2020, era sufficiente a garantire “l’indipendenza finanziaria e militare” ai talebani.