(di Santa Fizzarotti Selvaggi) Per meglio riconoscere le radici della nostra identità e quella dell’Altro è necessario riconsiderare il senso della cultura dell′Occidente e del suo sguardo. In primis dobbiamo ricordare che la cultura nasce sempre da una pluralità di popoli, e nel nostro caso è scaturita dalla contaminazione di tante forme, di tanti linguaggi e di tante esperienze diverse sin dalle prime iscrizioni sumeriche.
Benedetto XVI ci ha invitato a riflettere che “l′Europa non un continente definibile in termini soltanto geografici, ma è invece un concetto culturale e storico”.
Nel Mediterraneo si è creata quella particolare condizione che ha determinato la nascita del “logos “ dell′Occidente che, pur generato dall′insieme delle tradizioni ellenistiche, ebraico-cristiane, ha spesso ritenuto di poter essere l′unico modo di vedere il mondo oltre che di avere uno sguardo interpretativo assoluto della realtà. Ma che cosa è il Mediterraneo? Un insieme di scenari e civiltà antiche che hanno dato vita alla nostra civiltà, ai nostri modelli di pensiero, come molti autori scrivono. Mare di percorsi identitari disposti ad andare oltre, verso l′ignoto, verso l′altrove. In tal senso il Mediterraneo, pur essendo uno spazio geografico limitato, ci consente molteplici riflessioni. Il Mediterraneo, infatti, è un pensiero capace di cambiare ottica e di lasciarsi attraversare dalle trasformazioni (cfr. F.Pinto Minerva).
Nel Mediterraneo le Civiltà costruiscono il mosaico dell′origine, delle culture, delle religioni, delle tradizioni, dei linguaggi: ma fondamentale è comprendere che quando si perdono pezzi di questo mosaico si perdono pezzi della propria storia. Non dimentichiamo che dal Mare giunge l′ignoto, evocazione del rimosso che ci abita dinanzi al quale riscopriamo la nostra fragilità. È sufficiente osservare una carta geografica per rendersi conto che il Mediterraneo ha «la forma di un utero» ed è «una successione di pianure liquide» (cfr. Braudel).
Un insieme di mari: se ne contano venticinque. Un mare che genera dunque altro mare (cfr. F. Maisetti) sul quale popoli diversi e identità differenti cercano una Madre-Terra che li accolga e li nutra.
Il discorso è profondo, ma in ogni caso le terre degli universali valori umanitari, che appunto per loro stessa natura appartengono a tutti, facilitano la possibilità di creare interconnessioni, aree transizionali in cui può essere sviluppata la coscienza che in realtà tutti siamo genitori , figli e fratello gli uni degli altri ,al di là dei vincoli di sangue. La più autentica solidarietà, infatti, la si ravvisa proprio quando trascende ogni vincolo e si dona all’estraneità .
La nostra stessa personale identità somiglia a un mosaico che ogni volta rimanda a un insieme, continuamente mutevole, di visioni del mondo.
Visioni di altri popoli e civiltà che ci giungono attraverso le voci di coloro che approdano sui lidi dell’Occidente: suoni e parole che comunicano identità e differenze.
Molto difficile e complesso è invero il cammino verso la formazione di quella coscienza universale che, al di là di ogni questione economica e politica, fa sì che le terre non possano più essere entità chiuse ma luoghi aperti all′Altro, allo Straniero, il quale secondo l′antica Grecia era da considerarsi quale ospite sacro. Gli stessi Greci, per esempio, definivano barbari coloro che non sapevano parlare la loro lingua (Barbaro = colui che balbetta). Non a caso la lingua è uno straordinario strumento d′integrazione anche perché le parole contengono emozioni e sentimenti, nonché modelli di pensiero che tramite la corretta comunicazione e l’ascolto possono essere condivisi Per la tradizione giudaico-cristiana, come notano molti studiosi, lo Straniero era, spesso, un inviato da Dio.
Naturalmente, all′interno dell′essere umano vi sono ambivalenze e naturali meccanismi di difesa, per cui nei confronti dello Straniero emergono atavici pregiudizi fino al punto da considerarlo Nemico. Ci si riferisce ovviamente a un′idea di Nemico, di un Nemico fantasma che diviene strumento manipolatorio per questioni di ben altra natura e che con l’accoglienza non hanno nulla a che vedere mentre eludono il concetto chiave che i diritti umani non sono negoziabili. Ed è così che nelle menti di molti, assolutamente anestetizzate da messaggi subliminali e mediatici, sorge nell′immaginazione l’idea dell’Altro che pone in discussione la nostra Identità… Di qui la necessità di diventare quanto più possibile consapevoli di Sé e della propria storia in modo che l′incontro con l′Altro sia una possibilità di conoscersi, riconoscersi, e non già il timore di perdersi.
La natura onnipresente degli specchi labirintici (identificazione proiettiva) facilita la dissociazione da quegli aspetti problematici interni (inconsci) a ciascun essere umano con i quali invero intratteniamo legami. La violenza con la quale vengono trasmessi messaggi relativi a vari comportamenti minaccia sempre più il senso d′identità individuale e la stabilità sociale.
Ma è nella capacità di ospitare l′Altro innanzitutto dentro di noi e costruire intrecci che possiamo essere efficaci nella costruzione di identità integrate. Il pensiero creativo , per esempio, che può essere sviluppato all’interno delle “terze terre”, ovvero all’interno della conoscenza reciproca e percorsi condivisi senza pregiudizio alcuno, rappresenta la possibilità di trasformare profondamente il mondo mentre contemporaneamente muta noi stessi. In assenza di questa capacità affiora il terrore che si appropria del destino umano. Quel terrore dalle antiche radici che ci pone inevitabilmente in contatto con le nostre parti più oscure. L′identità differente dalla nostra va riconosciuta. Il che però può accadere a condizione che si sia consapevoli della propria identità, al di là di rigide frontiere identitarie e/o rinunce. D′altra parte, tutte le “Dichiarazioni dei Diritti dell′Uomo”, come hanno notato diversi esperti, sottolineano l′uguaglianza dei diritti fondamentali della persona umana. Meraviglioso è che da una «sola natura umana» siano state generate culture differenti che evidentemente riflettono il volto dell′umanità.
Chomsky, come alcuni Autori notano, nella sua «teoria della sintassi» ci ricorda che esiste una «grammatica generativa» che consente ai bambini di imparare lingue diverse e di passare dall′una all′altra. Le più recenti scoperte scientifiche ci dicono che è esistita l’Eva mitocondriale che ha trasmesso in linea femminile alla progenie umana il proprio genoma. Una sola madre dunque per cui non esistono razze ma solo il genere umano. Sarebbe anche il caso di rivedere quanto scritto nella Costituzione: non si dimentichi che le parole inventano il mondo, possono facilitare l’unione tra i popoli in un discorso di vera pacificazione, così come possono condurre alla disgregazione.
Si tratta in realtà del valore della Persona come tale. In tal senso si intende il diritto all′uguaglianza tra gli uomini e all′uguaglianza nella diversità: un principio che dovrebbe caratterizzare sempre più la società di oggi e sul quale è fondamentale riflettere.
Invero ,per esempio, siamo consapevoli che la multiculturalità a volte ha dato luogo alla nascita di nuove ghettizzazioni e localismi. Non si può pensare nemmeno al modello dell′assimilazione inclusiva, come si suol forse impropriamente dire, in cui l′Altro sperimenta comunque una condizione di marginalità e subalternità nei confronti della cultura ospitante. E’ questo il caso in cui possiamo assistere a un atteggiamento totalmente e difensivamente passivo nei confronti di chi ospita, oppure «un′assoluta rivendicazione della propria identità culturale ed etnica» con la conseguente facile radicalizzazione dei sentimenti e ostilità. Necessaria è la reciprocità fra le parti e il rispetto di tutte le identità.
Come fare allora? Forse imparare a decentrarci, e dunque attraversare altri territori: ma per realizzare tale attraversamento senza effrazioni dolorose bisogna imparare a guardare dentro di noi. È quest′abilità che ci permette di accogliere l′Altro che a noi si rivolge.
Il de-condizionamento culturale altri non se non l′acquisizione della consapevolezza che spesso utilizziamo la cosiddetta cultura quale difesa, a volte eccessiva, delle nostre parti interne meno disponibili. In tal modo il monologo culturale e umano può trasformarsi in un dialogo interculturale e interumano, diremmo transculturale, pregno di affetti ed emozioni, la cui gestione non è certo facile ma che salvaguarderebbe la dignità. Il dominio dell′uomo sull′Uomo, infatti, si manifesta con quel particolare atteggiamento che viola la dignità umana manifestandosi finanche, se pur inconsapevolmente, con atteggiamenti di buonismo.
Si tratta in realtà di costruire una cultura della transizione, della riflessione permanente sulla nostra stessa mutazione. Costruire luoghi creativi di condivisione è necessario. Una condivisione che tenga conto della Memoria che non deve subire soluzioni di continuità, in modo che la perdita non sia irrecuperabile e che la lacerazione della stessa perdita sia in qualche modo rimarginabile. Noi siamo la nostra memoria: è la Memoria che in qualche modo domina gli esseri umani tutti.
Come si può osservare, la cosiddetta civiltà su cui fondiamo i nostri rapporti facilmente implode: dall′umano riaffiora il “pre-umano”, come affermano alcuni studiosi, l′arcaico volto del nostro essere sulla terra.
Il trauma psichico, lo si rammenta ancora, rappresenta una ferita per la mente: qualcosa di esterno la invade e ne viola i confini, causando spesso uno stato di disperazione. Non dimentichiamo che è’ il trauma, quale rottura dell′esperienza quotidiana e della memoria, a rappresentare il dramma dei profughi e degli immigrati.
Si tratta di una ferita che riapre altre piaghe, talvolta invisibili cicatrici che ricominciano a sanguinare al primo soffio di vento e che pertanto lasciano emergere improvvisamente il perturbante, il rimosso non rappresentabile dalla nostra mente che invece ha bisogno di controllare eventi e fatti all′interno dell′universo simbolico umano. Le emozioni difensivamente si congelano e tale condizione nel tempo può determinare gravi sofferenze. Vi sono anche traumi irrisolvibili!
Ci sembra di poter essere efficaci soltanto qualora si riesca a trovare un alloggio, o una sistemazione a coloro che chiedono aiuto, asilo, accoglienza? Non è sufficiente, perché nessun luogo è come casa propria, fosse pure l′ultima delle capanne del mondo.
Profughi e rifugiati spesso diventano persone «in lutto perenne» (Volkan, 2001): «non sono in grado di rinunciare alla speranza del ritorno o rendersi conto che quelli vicini a loro sono veramente morti e che le prospettive del futuro sono davvero cambiate». Rimane, però, il pensiero magico di ritrovare tutto ciò che è stato. In tal modo spesso non si è capaci né di elaborare il lutto, né le esperienze collegate con il trauma e con la perdita. Si crea una condizione di “animazione sospesa” in attesa che un giorno o l′altro tutto tornerà come era stato.
Attraverso gli strumenti della creatività possiamo facilitare proprio le elaborazioni delle perdite e dei traumi.
Nel villaggio globale assistiamo all′azzeramento della creatività, che è invece uno straordinario strumento di integrazione e trasformazione. Troppo spesso oggi, come già in precedenza accennato, assorbiamo messaggi mediatici che ci abituano anche alla violenza femminile: donne che in alcuni Paesi combattono e uccidono. Non solo Oggetto di violenza, ma anche Soggetto di violenza.
Non ci sono più parole in grado di costruire il discorso e il pensiero. Ecco, si ritiene che uno degli obiettivi dell’Associazione Crocerossine d’Italia-Onlus sia quello di provare a cambiare l’ottica con la quale forse difensivamente si guarda il mondo, a guardare oltre l’orizzonte delle proprie certezze per facilitare quella dimensione in cui tutti possono sentirsi a casa con una riflessione sul senso vero del dialogo. D’altra parte l′orrore al quale spesso assistiamo non è’ forse il risultato della tragedia di un mondo privo di parola, incapace di comunicare con sé e con l′Altro? Di un mondo che a volte si illude di dialogare all′interno di un sistema virtuale, che in alcuni casi diviene quasi una protesi comunicativa. Ma dalle ferite dell′anima può nascere un Uomo Nuovo. Si tratta, in realtà, dell′Arte della cura, che dovrebbe appartenere a tutti. Un prendersi cura consapevole e amorevole della società nel quale l’Associazione Crocerossine d’Italia-Onlus fortemente crede per un accadere trasformativo che generi un Uomo Nuovo. Un’epoca di avvento.