Duello a distanza sul Mes, sul fondo salva stati europeo.
«A Salvini se è un uomo d’onore dico questo: vada in Procura a fare l’esposto. Non ho l’immunità perché non sono parlamentare. Lui ce l’ha e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Adesso veda questa volta, perché lo querelerò per calunnia, di non approfittarne più»
«Il signor Conte deve mettersi in fila e prendere il bigliettino, prima viene la signora Carola e la signora Cucchi», ha replicato l’ex ministro dell’Interno notando che «la crescente arroganza dell’avvocato del popolo ricorda una frase del marchese del Grillo: “Io so’ io, voi non siete un cazzo”. Ha la coscienza sporca dei bambini beccati con le mani nella marmellata».
La resa dei conti lunedì a Montecitorio, quando il presidente del consiglio, Giuseppe Conte riferirà ai parlamentari. Momenti di altissima tensione si sono registrati quando il premier, accusato di essere un bugiardo, ha intimato il leader della Lega, Matteo Salvini di querelarlo per calunnia.
Peccato che lunedì Matteo Salvini non potrà replicare in Aula, essendo un senatore, ma affiderà il suo pensiero a uno dei suoi fedelissimi, seduto alla Camera. Giuseppe Conte intende dimostrare che nell’anno di governo la Lega è stata puntualmente informata e che il testo finale non tradisce la risoluzione parlamentare votata il 19 giugno che chiedeva al governo giallo-verde di lavorare nell’interesse dell’Italia. Matteo Salvini ieri sera ha partecipato dalla trasmissione Diritto e Rovescio di Del Debbio ha dichiarato di avere ancora il testo di un messaggio tra lui e il premier Conte dove ribadiva che l’accordo sul Mes non doveva essere firmato.
Giuseppe Conte vuole dimostrare che in uno stato di diritto “i messaggini” non valgono più degli atti parlamentari. Altra questione è la posizione del Movimento che dopo una serrata discussione interna avvenuta ieri ha deciso di soccorrere Conte migliorando il testo esprimendo al tempo stesso massima fiducia nel premier stesso e nel ministro Gualtieri.
La linea di Giuseppe Conte sul pacchetto. Così come scrive il Messaggero Conte resta fermo sulla linea del pacchetto più volte enunciata. La riforma del Salva Stati è un elemento importante insieme al bilancio dell’Eurozona e, soprattutto, all’Unione bancaria. Poiché si è cominciato a lavorare su un meccanismo che già esiste, e che se non venisse riformato resterebbe comunque.
Occorre scrivere una precisa road map non solo temporale, ma che escluda, per esempio, alcune proposte di Unione bancaria. A cominciare da quella avanzata di recente dal ministro tedesco delle Finanze OlafScholz. Più che sul testo della riforma, a palazzo Chigi come al ministero dell’Economia si lavora quindi su strade parallele: la road map che permetta di inserire la riforma del Mes in un «pacchetto» dai contorni definiti, e l’integrazione o la correzione di alcuni allegati alla riforma che sempre più frequentemente, nella politica comunitaria, integrano e orientano il testo principale.
Giorgia Meloni, leader di Fdi, ha detto che non si può confermare l’impegno per un fondo al quale l’Italia, se avesse bisogno di essere salvata, non potrebbe accedere.
Parliamo del Mes
A chiarirci le idee un articolo di Panorama. Il Mes è un’organizzazione intergovernativa dell’Eurozona istituita nel 2012con lo scopo di andare in aiuto dei Paesi in difficoltà economica. Come fosse un enorme fondo cassa dove i ricchi mettono di più e i poveri di meno e quando qualcuno ha problemi si rompe il porcellino. Detta così sembra l’uovo di Colombo che ci salverà tutti, ma le cose sono un po’ più complesse.
Il MES ha una dotazione di 80 miliardi di euro il 27% dei quali arrivano dalla Germania che, con ogni probabilità, non utilizzerà mai i propri risparmi e quindi detta le regole per gli altri. Il MES, inoltre, emette titoli con la garanzia degli Stati che ne fanno parte e per questo è in grado di raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro.
I parametri per accedere al MES
Il problema è che per gli Stati in difficoltà non basta alzare il ditino e chiedere l’aiuto da casa, ma per attingere a quella che sembra l’oasi nel deserto devono sottoscrivere tutta una serie di condizioni da lacrime e sangue.
Il primo luogo devono accettare la sorveglianza della cosiddetta Troika il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale che avrà il compito di vigilare sulla realizzazione di una serie di riforme e cambiamenti nazionali imposti giocoforza dall’Europa.
Si tratta di misure politicamente impopolari come il taglio della spesa pubblica, l’aumento delle tasse, nuovi leggi sul lavoro nazionalizzazione o privatizzazione di enti, pensioni stipendi pubblici e così via. In pratica è l’Europa che decide la linea politica del paese in crisi. Al momento del MES hanno usufruito Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda.
La riforma del MES
Da tempo si parla di una riforma di questo Meccanismo, una riforma che però va in due direzioni antitetiche. I Paesi ricchi (sostanzialmente quelli del nord Europa) chiedono maggiori garanzie sui prestiti e maglie più strette affinché le nazioni meno forti non prendano alla leggera i propri impegni finanziari sapendo che tanto poi ci pensa il MES, mentre le nazioni potenzialmente in difficoltà (tra cui l’Italia) vorrebbero che la mano dell’Europa stesse lontana dalla sovranità popolare.
Da inizio 2018 il braccio di ferro tra “ricchi” e “poveri” (per dirla in soldoni) della zona Euro prosegue senza sosta nel tentativo di arrivare a una riforma equa che non strozzi le nazioni in difficoltà ma che non marci sulle tasche dei paesi più forti.
Tra i punti chiave della riforma i meccanismi di accesso al credito. I paesi più indebitati, tra cui l’Italia, chiedevano che le linee di credito precauzionali del MES (che si chiamano in termini tecnici PCCL e ECCL) venissero concesse anche senza bisogno di sottoscrivere un accordo dettagliato di riforme impopolari.
Nella versione finale questa richiesta è stata sì accolta, ma a patto che i paesi che hanno bisogno di accedere al MES rispettino i parametri di Maastricht e in realtà su 19 Paesi dell’Eurozona, ben 10 (e cioè i più indebitati e quindi quelli che avrebbero potenzialmente bisogno del MES) questi parametri non li rispettano.
Vittoria dei “poveri” invece è stata l’introduzione del cosiddetto backstop per il Fondo di risoluzione unico, un fondo finanziato dalle banche europee ideato per aiutare istituti finanziari in difficoltà. Ora il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi rendendo le banche più sicure.
E poi c’è la terza modifica, quella vinta dai “ricchi” che non solo non piace all’Italia ma preoccupa i più deboli
La riforma cerca di rendere più facile ristrutturare il debito pubblico di un paese che chiede aiuto al MES. Questo significa che i privati che hanno prestato denaro alle nazioni in crisi perderanno parte del loro investimento nel momento in cui scatterà un pacchetto di aiuti con un complesso sistema di compravendita di titoli di Stato.
Questo determina sì che un paese in difficoltà possa restituire meno di quello che deve ai suoi creditori, ma implica che i creditori, consci del maggior rischio del proprio prestito, finiscano per chiedere interessi proporzionalmente elevati al livello di difficoltà del Paese in oggetto.