La Polizia di Stato di Milano, coordinata dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo lombardo, sta eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di diverse persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, tentata estorsione, tentato omicidio, ricettazione, porto illegale di armi, furto aggravato, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, intestazione fittizia e coercizione elettorale, usura, tutti aggravati dalla contestazione della mafiosità.
La complessa attività investigativa svolta dai poliziotti della Squadra Mobile milanese ha fatto luce sulle dinamiche della Locale di ‘ndrangheta di Pioltello (MI), feudo indiscusso delle famiglie MAIOLO/MANNO e sulle attività criminali di un altro soggetto riferibile alla famiglia di Cosa Nostra dei Pietraperzia (EN) collegata ai RINZIVILLO; l’indagine ha consentito di poter appurare come la “Locale di Pioltello”, già riconosciuta come struttura di ‘ndrangheta nell’ambito dell’operazione “Infinito” condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano nel 2010, attraverso il suo referente, insignito all’epoca della carica di “capo società”, dopo aver scontato una condanna ad anni 11 e mesi 4 di reclusione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti, fosse nuovamente operativo cercando di imporre l’egemonia della sua famiglia sul territorio, benché sottoposto alla misura della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, attraverso una serie di intimidazioni, consistenti sia in violenze sia fisiche che verbali.
Il quadro emerso nel corso delle numerose intercettazioni, dei servizi e degli appostamenti effettuati dagli agenti della 1^ Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile, è stato quello di una struttura mafiosa pervasiva, legata fortemente ai segni e ai simboli tipici dell’ndrangheta: in due circostanze, la Polizia di Stato ha documentato come uno degli indagati, rivolgendosi a suo nipote, da un lato gli spiegava l’importanza dei legami di sangue che assicurano un’affiliazione “automatica” e, dell’altro, illustrava l’importanza di riconoscere i “segni” dell’ndrangheta in maniera tale da essere in grado di riconoscersi tra appartenenti.
A riprova dell’uso indiscriminato della violenza da parte dei soggetti verosimilmente facenti parte del sodalizio mafioso, vi è anche la contestazione di un’ipotesi di tentato omicidio in un episodio che ha visto coinvolto un membro della famiglia investigata e alcuni cittadini albanesi per una questione di droga degenerata, prima dell’intervento delle forze dell’ordine, in una rissa. Episodio, questo, che ha creato, peraltro, un forte dissidio nella famiglia in quanto il comportamento dell’autore del tentato omicidio è ritenuto impulsivo: le diverse conversazioni che coinvolgevano diversi membri della Locale, a un certo punto, infatti, hanno fatto emergere da parte del reggente della famiglia, l’idea di sopprimere il fratello autore del tentato omicidio, fatto poi non concretizzatosi a conferma della propensione dell’ndrangheta a mantenere un basso profilo.
Le indagini hanno fatto emergere come a tale pervasività e violenza si unisse la capacità dell’organizzazione di gestire notevoli flussi di denaro provento di illecite attività che producevano liquidità da reimpiegare: sono state documentate reiterate intestazioni di aziende a prestanomi per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione. Un vero e proprio sistema ben collaudato in cui, attraverso l’emissione/ricezione di fatture per operazioni inesistenti o con sovrafatturazioni nonché finte assunzioni di dipendenti, si andava a inquinare il tessuto sano dell’economia del territorio conseguendo illeciti guadagni nei settori della logistica e dei servizi funerari.
Inoltre, sono state documentati anche casi di imprenditori che, istaurando rapporti ai limiti della connivenza, si sono avvalsi dei servizi offerti da alcuni degli indagati per lucrare sul fronte del costo del lavoro e della manodopera: emblematico è stato il caso di una nota azienda di logistica che, per il tramite di alcune società cooperative riferibili agli indagati, di fatto agiva come se i soci della stessa fossero dipendenti della ditta.
Attività illecite che non si fermavano nemmeno di fronte a alla pandemia da Covid-19: nel corso di una conversazione, infatti, veniva descritto come uno dei figli del reggente della Locale, affiliato con la dote di “sgarrista”, intuendo la possibilità di lucrare sul fenomeno del trasporto delle salme delle vittime del virus, parlando con altro indagato, mentre alla televisione scorrevano le immagini della colonna di salme trasportate dall’Esercito, spiegava come poter, attraverso una società intestata a un prestanome e l’emissione di false fatture, ottenere dei guadagni illeciti nel settore del trasporto feretri. A ulteriore conferma della capacità della famiglia MAIOLO/MANNO di poter influenzare il territorio è stata documentata e contestata l’ipotesi di reato di coercizione elettorale in quanto si è appurato come la Locale avesse tentato di influenza il voto per le elezioni comunali locali a favore di uno dei candidati.
Oltre alla famiglia ‘ndranghetista, la Squadra Mobile, coordinata dalla Procura Distrettuale di Milano, ha chiesto e ottenuto l’emissione di una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un soggetto, appartenente alla famiglia mafiosa di Pietraperzia (EN) collegata ai RINZIVILLO, a cui sono state contestate le ipotesi di usura ed intestazione fittizia aggravate dalla mafiosità. L’uomo, particolarmente attivo nel campo dei prestiti a usura che venivano reinvestiti in beni immobili e mobili, tra cui autovetture di lusso sottoposte a sequestro preventivo, secondo le indagini, avrebbe intrecciato degli accordi di spartizione del territorio con la famiglia di ‘ndrangheta di Pioltello.
Le operazioni, tuttora in corso, vedono impegnati decine di poliziotti della Squadra Mobile di Milano, in collaborazione con il personale del Reparto Prevenzione Crimine di Milano, delle unità cinofile della Questura di Milano.