La rubrica “Non dimentichiamoli”, questo fine settimana, la dedica all’Aeronautica Militare che nel 1992 ha vissuto momenti di profonda tristezza e cordoglio per l’abbattimento di un G222 della 46^ B.A. di Pisa in volo verso la Bosnia. Vi riporto i dettagli della vicenda, ricordando i militari dell’Arma Azzurra che nel compimento della propria missione persero la vita, portando nel più alto dei cieli il loro massimo sacrificio per un fine superiore, pacificare e aiutare una popolazione di un Paese in conflitto.
Quattro gli uomini dell’equipaggio deceduti: Marco Betti, Marco Rigliaco, Giuseppe Buttaglieri e Giuliano Velardi. «Lyra 34» ˗ questo era il nome in codice assegnato all’aeroplano ˗ operava nella missione Onu ‘Unprofor’ e trasportava aiuti umanitari destinati alla popolazione di Sarajevo assediata. Il ponte aereo dalla costa della Dalmazia tra il luglio 1992 e il gennaio 1993 fece affluire in Bosnia trentamila tonnellate di aiuti con quasi 2500 voli, uno dei quali era appunto l’aereo italiano. Altri interventi umanitari in tutta la Bosnia, interrotti anch’essi per le continue ostilità cui erano soggetti, fornirono aiuto a più di ottocentomila persone.
I dettagli dell’inchiesta:
Due missili: il primo ha colpito l’ aereo al motore destro, ma ha lasciato al G-222 ancora qualche attimo di vita. Il secondo è esploso a pochi centimetri dal motore sinistro, ‘ sparando’ frammenti di acciaio e cromo non solo verso il turboelica ma anche verso la carlinga dell’ aereo, colpendo gli stessi uomini dell’ equipaggio. Fra il primo e il secondo missile, il 3 settembre i due piloti del G-222 in volo per Sarajevo hanno lanciato il loro ultimo, disperato messaggio radio: “We are in emergency, we are in emergency”, siamo in emergenza. Il rapporto che il Ministro della Difesa Salvo Andò, portò alle Nazioni Unite è il primo risultato di una vera e propria corsa contro il tempo iniziata alle 15,05 del 3 settembre, quando il capogabinetto della Difesa, l’ ammiraglio Antonio Staglianò, annunciò al ministro la notizia della “perdita di contatto radio” con il G-222. Andò fu subito molto chiaro: “Non voglio un’ altra Ustica, muovetevi, dobbiamo sapere cos’ è successo al G-222. Andate in Jugoslavia, e se è stato abbattuto, riportatevi i pezzi a casa!”. Alle 15,45 il sottocapo di Stato maggiore dell’ Aeronautica, Mario Arpino, convoca una riunione dei vertici dell’ Aeronautica e decide di far partire per Sarajevo il generale Battisti, “Ispettore della Sicurezza Volo” della forza armata. Questa di evitare ‘ un’ altra Ustica’ come dice Andò diventa un’ ossessione per l’ Aeronautica: evitare che imprecisioni, decisioni sbagliate o prese troppo tardi possano creare qualcosa di simile all’ incredibile intrigo di errori che ha accompagnato la tragedia del Dc-9 precipitato a Ustica. Il primo a comunicare che l’ aereo potrebbe essere stato abbattuto è il generale Pucci, direttore del Sismi: alle 16,50 il direttore dell’ intelligence militare riferisce al generale Arpino che i primi rilevamenti americani portano ad escludere l’ incidente. Pochi minuti prima, alle 16,10, l’ ambasciata Usa a Roma aveva trasmesso un messaggio del Pentagono con cui veniva precisato il punto in cui si riteneva fosse precipitato “un velivolo da trasporto, forse un C-130”. Il punto indicato era praticamente quello in cui il generale Battisti ha poi ritrovato l’ aereo: 4345 Nord e 1733 Est per i satelliti americani, 4354 Nord e 1751 Est nel rilevamento delle squadre di soccorso. Ma veniamo alla parte del rapporto-Battisti che riguarda più direttamente l’ incidente: l’ ufficiale spiega di aver “identificato in sequenza i componenti del cono di scarico di un motore, parti del rivestimento esterno di un motore, parte dell’ impennaggio, l’ ala sinistra, la parte più consistente del relitto quasi completamente bruciata ed infine il motore sinistro con parte dell’ elica”. Battisti recupera tre parti di motore, quelle che a prima vista mostrano i segni più evidenti dei ‘ pallettoni’ scagliati dal missile nel momento dell’ esplosione del missile. Il generale riporta i tre pezzi di motore a Roma; il suo capo di Stato maggiore, il generale Nardini, affida il tutto ai tecnici del centro di ricerca di Pratica di Mare, a pochi chilometri da Roma. Battisti inoltre riferisce di aver raccolto tutte le informazioni disponibili sulla “situazione aerea rilevata dall’ aereo radar Awacs; comunicazioni terra/bordo/terra; rilevazioni di emissioni radar nella zona dell’ abbattimento”. Il controllo incrociato delle parti di motore e di ogni altra prova o testimonianza poco alla volta contribuisce a costruire la verità. “In zona non sono state registrate emissioni radar”, come dire che non erano attivi radar di puntamento di batterie missilistiche terrestri di una certa potenza. “Il ritrovamento di parti di aereo a monte del punto d’ impatto principale e in altri punti decisamente distanti senza che vi siano segni di rimbalzo nel sottobosco fa ritenere che il velivolo abbia avuto danni rilevanti prima dell’ impatto al suolo”. Ancora, e arrivano le prove determinanti, “le parti di motore recuperate presentano fori dall’ interno verso l’ esterno, segno che il velivolo è stato colpito da un missile dotato di spoletta di prossimità. Su uno dei reperti i fori non sono passanti, e ciò ha permesso di recuperare delle scheggiature che in prima analisi risultano composte di acciaio e cromo”. Dopo tutto questo, la commissione italiana tira le somme: “1) La mancata emissione di onde radar in zona fa escludere la messa in postazione di unità missilistiche sofisticate o radar-asservite. 2) La diversa provenienza delle schegge e la densità di distribuzione sui reperti fanno ritenere che siano stati colpiti entrambi i motori non da uno, ma da due missili. 3) La mancanza di emissioni radar e le schegge sulle parti calde dei motori individuano in un missile terra-aria con guida infrarosso il sistema d’ arma impiegato per l’ abbattimento del velivolo. 4) La ricerca fra i missili aventi le caratteristiche sopraccitate porta ad individuare una rosa di tre sistemi: SA- 9, SA-16 e Stinger in versione migliorata”.
di Redazione
fonte: La Repubblica