La Questura di Genova ed il Servizio per il Contrasto all’Estremismo e Terrorismo Esterno della Polizia di Stato hanno svolto, dalle prime ore di questa mattina, una vasta operazione internazionale di contrasto al terrorismo di matrice jihadista con l’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, disposte dall’Autorità Giudiziaria del capoluogo ligure, nei confronti di cittadini pachistani accusati di associazione terroristica internazionale.
Nell’operazione, condotta dalla Digos di Genova, sono coinvolte anche le Digos di Reggio Emilia, Firenze, Treviso e Brindisi e, all’esecuzione delle misure all’estero, per le quali sono state diramate le ricerche in ambito europeo, stanno concorrendo la Comisarìa General de Informacìon spagnola e l’antiterrorismo francese con il coordinamento dell’E.C.T.C. – European Counter Terrorism Center di Europol.
Oltre i capoluoghi già interessati dall’esecuzione di misure, le Digos di Genova, Ferrara, Mantova, Savona e Macerata sono coinvolte in attività di perquisizione.
La vasta operazione odierna – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo genovese che ha condiviso integralmente gli esiti dell’indagine – origina da informazioni acquisite nel 2020 dal Comparto intelligence nazionale circa la presenza, in Italia, di alcuni stranieri inseriti nel circuito relazionale diretto di Hassan Zaheer Mahmood, il 27enne pachistano che il 25 settembre 2020 a Parigi, nei pressi dell’ex sede della rivista satirica CHARLIE HEBDO, ha gravemente ferito con un machete due persone per “vendicare” la ripubblicazione delle vignette sul Profeta.
L’attività d’indagine, intrapresa dalla Sezione Antiterrorismo della D.I.G.O.S. di Genova su input e con il costante supporto della Direzione Centrale Polizia di Prevenzione – Servizio per il Contrasto al Terrorismo Internazionale, ha avuto il punto di svolta con il rientro in Italia, nell’aprile dello scorso anno, del principale indagato, il 25enne pachistano T.Y., già in precedenza domiciliato a Chiavari in provincia di Genova, dove aveva fatto rientro subito dopo la riammissione dalla Francia, prima di trasferirsi in provincia di Reggio Emilia. Nel Paese transalpino era stato arrestato due mesi prima per porto in luogo pubblico di un grosso coltello.
Sugli account Facebook, Tik Tok e su un canale You Tube, infatti, T.Y. postava, con cadenza giornaliera, numerosi video nei quali era spesso ripreso avvolto da tunica e copricapo neri mentre recitava testi inneggianti alla violenza oppure mentre, in compagnia di connazionali, in strada o all’interno di abitazioni, brandiva machete o coltelli di grandi dimensioni mimando insieme agli altri il “taglio della gola”.
Gli approfondimenti effettuati sui suoi profili social hanno consentito di individuare un’ampia pubblicazione in rete di video e post apologetici e violenti che ha costituito il punto di partenza di un complesso iter investigativo che ha svelato l’esistenza e l’operatività, in diverse province italiane e in alcuni Paesi europei, di una cellula terroristica riconducibile ad un più ampio gruppo di giovani pakistani, auto-denominatosi “Gruppo Gabar ”, tutti facenti parte dei contatti diretti dell’attentatore di Charlie Hebdo.
Oltre alle manifestazioni di vicinanza all’autore dell’attacco di Parigi, anche lui membro del Gruppo Gabar Francia, e di piena condivisione delle motivazioni che lo avevano indotto a passare all’azione, l’indagine ha consentito di delineare il substrato ideologico/confessionale dei sodali, continuamente protesi a diffondere online dottrine religiose improntate alla violenza e con una forte visione antioccidentali, in piena aderenza alla linea di predicatori che incitano all’uccisione di coloro che si “macchiano” di blasfemia.
Ampliando l’attenzione sulla stretta rete relazionale di T.Y. è stato quindi possibile elaborare e documentare l’ipotesi associativa, stante i comprovati, stretti legami tra gli indagati molti dei quali immortalati, appena due mesi prima, insieme all’autore del menzionato attentato di Parigi in una foto scattata sotto la Torre Eiffel a cui era stata aggiunta l’inquietante didascalia: abbiate un po’ di pazienza…ci vediamo sui campi di battaglia.
Il ruolo di T.Y. è chiaramente sintetizzato in un passaggio del provvedimento che dispone la misura di custodia cautelare in carcere e che descrive come l’indagato fornisse il proprio contributo partecipativo all’associazione terroristica “…. promuovendo a partire dall’aprile 2021, la formazione di una cellula sedente ed operante in Italia, attraverso il reclutamento di sodali, la individuazione di un covo (cd. Tana), l’acquisto di armi, offrendo ospitalità a sodali, mantenendo rapporti e contatti con personaggi al vertice della organizzazione…..”.
L’ipotesi associativa ha trovato conforto non solo attraverso i continui contatti virtuali e de visu degli indagati ma anche grazie alla “captazione” di conversazioni intercorse tra T.Y. e tale Peer (“maestro”), poi compiutamente identificato in N.R., pachistano di 33 anni attualmente detenuto in Francia, anch’egli tra i destinatari delle odierne misure estese in campo internazionale. Nei dialoghi registrati, infatti, è emersa chiaramente la volontà di entrambi di creare una cellula italiana del Gruppo Gabar, reclutando sodali (“ora bisogna andare in ogni città e trovare quelle 10 persone che mi servono.., più saremo, meglio è…..”), individuando un covo (“fammi lavorare 2 mesi, e poi troviamo una nostra “Tana” e facciamo il gruppo Gabar qui in Italia”) e dichiarando la ferma intenzione di acquistare armi (“tra 2 mesi comincio a comprare delle armi”).
Dall’estate 2021 sono stati peraltro documentati dagli investigatori molteplici incontri tra gli indagati che, periodicamente, hanno raggiunto il territorio italiano, in particolar modo Fabbrico (RE), ove T. Y. si è stabilito ed ha trovato lavoro.
Che il nostro Paese fosse luogo privilegiato per il supporto logistico del Gruppo Gabar, è dimostrato anche dall’arresto a Lodi, eseguito a fine settembre 2021 dalla D.I.G.O.S. di Genova e dagli uomini del Servizio per il Contrasto all’Estremismo e Terrorismo Esterno, del 19enne pakistano Ali Hamza, destinatario di Mandato di Arresto Europeo emesso dalla Procura Antiterrorismo di Parigi poiché legato all’attentatore di CHARLIE HEBDO, al punto da essere stato incaricato di diffondere il video di rivendicazione dell’attacco una volta avuta la certezza che la progettualità fosse andata a buon fine.
Gli stretti legami tra gli indagati, i proclami inneggianti alla violenza, la totale condivisione delle motivazioni ideologiche dell’attentato parigino, i contatti continui di T.Y. col già citato “Peer” pronto a raggiungere T.Y. in Italia non appena fosse stato scarcerato (“non ti preoccupare le volte che poi verrò in Italia farò di tutto”), con la dichiarata intenzione di dimostrare quanto il “Gruppo Gabar fosse grande”, hanno quindi fornito la misura della determinazione e pericolosità degli indagati, rappresentando uno dei pilastri delle esigenze cautelari, condivise interamente dall’Autorità Giudiziaria che ha ritenuto gli indagati appartenenti ad una associazione, definitasi Gruppo Gabar, che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo.
Da ultimo, l’impianto investigativo ha trovato indiretta conferma in una recente operazione condotta in Spagna dalla Comisaria General de Informacion che, nel febbraio 2022 ha condotto all’arresto di 5 persone, di cui almeno tre in contatto con gli odierni indagati e tutti riconducibili al Gruppo Gabar.