Su delega della Procura della Repubblica di Palermo, la Polizia Penitenziaria del Nucleo Investigativo Regionale Sicilia, con il coordinamento del Nucleo Investigativo Centrale di Roma, al termine di una complessa attività di indagine, ha dato esecuzione a un’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo. Con essa è stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di cinque persone, tre per corruzione e due anche per commercio di sostanze stupefacenti. Fra gli arrestati, un agente di Polizia Penitenziaria, già sospeso dal servizio, e due detenuti.
Le indagini, condotte dal Nucleo Investigativo della Polizia Penitenziaria, insieme agli uomini del Reparto della Casa di Reclusione Ucciardone ‘Calogero Di Bona’, hanno permesso di accertare che un agente, in forza presso l’istituto palermitano, avrebbe accettato somme di denaro per introdurre uno smartphone e due miniphone all’interno del carcere. I tre dispositivi erano destinati a un detenuto condannato dalla Corte di Appello di Palermo per l’omicidio di Andrea Cusimano nell’agosto del 2017. L’agente infedele avrebbe ricevuto la somma di 500 euro per compiere l’atto contrario ai doveri del proprio ufficio.
La consegna dei telefonini non è riuscita grazie all’intervento del servizio investigativo della Polizia Penitenziaria che ha proceduto al sequestro dei dispositivi. Con apposite intercettazioni telefoniche e ambientali è stato possibile documentare, inoltre, alcuni episodi in cui telefonini illecitamente introdotti in carcere sono stati utilizzati dai detenuti per porre in essere trattative finalizzate alla vendita di sostanza stupefacente. In un caso uno degli arrestati ha trattato telefonicamente con un detenuto nel carcere di Augusta la vendita a complici in libertà di una partita di circa 5 chilogrammi di sostanza stupefacente.
Grazie alle intercettazioni è stato anche individuato un gruppo di detenuti che comunicava costantemente con l’esterno attraverso miniphone illecitamente introdotti in carcere. I membri di questo gruppo si avvalevano della complicità di soggetti all’esterno per introdurre nell’istituto telefoni cellulari e sostanza stupefacente attraverso varie modalità, tra cui il lancio all’interno delle mura dalle strade circostanti. Le videoriprese disposte dalla Procura della Repubblica hanno in particolare permesso di immortalare diversi lanci di telefonini, commissionati da soggetti detenuti. In un altro caso, invece, uno dei soggetti ristretti si era telefonicamente accordato con un complice in libertà per il lancio di hashish.
Le attività di intercettazione hanno infine disvelato l’esistenza di un vero e proprio commercio di miniphone e di sim-card all’interno dell’Ucciardone, con l’esistenza di ‘tariffari’ sia per l’introduzione di tali beni tra le mura dell’istituto, sia per la loro successiva rivendita ad altri detenuti. Per questo sono stati iscritti nel registro degli indagati anche altri due ristretti: uno di loro avrebbe promesso all’agente infedele la somma di 1.500 euro per l’introduzione di telefonini in carcere; l’altro avrebbe offerto ad un altro agente una somma di denaro al medesimo scopo.
Le indagini hanno dimostrato come la disponibilità di un telefono cellulare durante il periodo di detenzione sia funzionale al perseguimento di obiettivi criminali e a coltivare una supremazia nell’ambito dei rapporti carcerari. Tale disponibilità permette al detenuto di mantenere continui rapporti con il proprio ambiente esterno di provenienza e persino di continuare a impartire disposizioni criminose da eseguire al di fuori della struttura carceraria, con evidenti ricadute negative sul soddisfacimento di eventuali esigenze cautelari, sulla praticabilità di percorsi rieducativi e, più in generale, sull’ordine pubblico.
Va evidenziato infine come, all’epoca dei fatti per i quali si procede (aprile – 4 ottobre 2020), l’introduzione di telefonini all’interno degli istituti penitenziari non era ancora penalmente sanzionata, assumendo rilevanza meramente disciplinare. Solo dal 22 ottobre scorso, con l’entrata in vigore del D.L. 130/2020 voluto dal Ministro Bonafede, è stato introdotto nell’ordinamento l’art. 391-ter del codice penale, che punisce l’introduzione e l’utilizzo in carcere di tali dispositivi di comunicazione.