(di John Blackeye) In tempi di conoronavirus, quello che emerge, leggendo in generale molti dei documenti emanati da Dicasteri, Regioni e Comuni in materia di tutela della salute e contenimento del contagio da Covid-19, è che si scrivano disposizioni, non tanto per emanare norme precise e concrete a tutela della salute dei cittadini – dando regole di dettaglio da rispettare – ma per circoscrivere chiaramente gli ambiti di propria responsabilità e competenza, mettendosi in un certo senso al sicuro, demandando il resto delle stesse, agli eventuali organi sottostanti.
Senza voler sollevare critiche nei confronti di chi si è trovato, in quanto pubblicamente incaricato, a gestire una emergenza planetaria che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, occorre però rilevare, oggettivamente, che spesso le Ordinanze emanate dalle Regioni, non risolvano i problemi per le quali dovrebbero essere emanate ma sembrano tutelare coloro che le scrivono di fronte ad eventualità di contenziosi e processi che potrebbero insorgere al termine di questa infausta parentesi di emergenza che ci siamo ritrovati inaspettata fra due periodi di normalità.
Intanto si deve constatare che l’ordinanza sui trasporti della Regione Lazio, attesa con ansia da milioni di persone che si muovono con Bus, Pullman, Tram, Metro e Treni è stata emanata il 30 aprile, a poche ore dall’inizio del lungo week end del primo maggio, avendo la pretesa di entrare in vigore a far data dal giorno 4 maggio, dopo zero giorni lavorativi dalla sua data di emissione.
La domanda che ci si pone leggendo il provvedimento è questa: durante il lungo fine settimana del ponte del primo maggio, chi avrebbe dovuto provvedere a porre in essere le disposizioni dell’Ordinanza? Ovviamente la domanda rimane senza risposta. Ma ci auguriamo che le predisposizioni del caso abbiano trovato concreta attuazione e disponibili già lunedì mattina.
È chiaro, pertanto, che l’intento non pare essere forse solo quello di regolamentare i movimenti delle masse di pendolari un contesto di igiene sanitaria in cui milioni di persone si rimettono in moto per ritornare al lavoro, quanto piuttosto quello di emanare un provvedimento che consenta di dire, nella malaugurata ipotesi in cui tutto andasse storto, che le regole erano state date.
Certo, non si può negare che qualcosa è stato scritto nell’ordinanza. Si parla di distanziamento, di dispenser contenenti soluzioni disinfettanti, d’installazione di conta passeggeri, di segnatura dei posti da non utilizzare sui mezzi pubblici, di divieto di attivazione della funzione riciclo dell’aria (nei treni con aria condizionata e finestrini “serrati”, si creperà di caldo?), di utilizzo obbligatorio dei dispositivi di protezione individuale come mascherine e guanti, di adozione di interventi, ove necessario, per il contingentamento degli accessi nelle stazioni ecc.
Tutto utile e tutto in linea con i criteri di contenimento generale della pandemia di cui abbiamo più volte sentito parlare in TV ma come si pongono queste misure di fronte alle orde di centinaia di migliaia di pendolari che già dalle sei del mattino sino alle otto della sera affolleranno i treni, le banchine dei pullman, le stazioni e le fermate dei bus?
Prevedere il distanziamento sociale sui mezzi pubblici, come i treni della linea Roma-Viterbo o Roma-Cassino è praticamente impossibile. Peraltro, è stata esclusa formalmente la figura del controllore. Quindi, chi dovrebbe gestire il flusso delle entrate nei treni ad ogni stazione ferroviaria?
L’ordinanza esordisce disponendo all’indirizzo dei Comuni di fare quello che devono fare, si ma cosa?
Lunedì 4 maggio, centinaia di migliaia di pendolari preoccupati, che magari avranno usufruito del disinfettante trovato in ogni stazione, si accalcheranno su tutte le fermate dei treni, come ogni giorno. Come si potrà garantire che i treni o i pullman di linea che normalmente partono dal capolinea per giungere a Roma sovraffollati sino all’inverosimile con gente che non ha nemmeno bisogno di reggersi ai corrimano perché perfettamente incastrata tra loro, possano garantire la distanza di sicurezza? Ma chi ha scritto queste regole è partito da dati oggettivi e realistici o ha scritto perché occorreva scrivere qualcosa? Perché i dati realistici ci parlano, da anni, di una bolgia infernale nella quale i lavoratori sono costretti a muoversi nel Lazio, giungendo sul posto di lavoro, già stressati e stanchi alle otto del mattino.
Stessa cosa per i bus. La norma dice che qualora il conducente dovesse rilevare che all’interno del bus sono già stati occupati i posti “in sicurezza”, da quel momento in poi non dovrà effettuare ulteriori fermate, salvo che qualcuno non la prenoti dall’interno. Bene, una volta prenotata la fermata successiva che succede? Si fa scendere l’interessato e si blocca la salita degli utenti sui marciapiedi? O si assisterà, come sempre, al riempimento dei bus tra spintoni, urla e imprecazioni?
In generale, l’Ordinanza è stata emanata ipotizzando una sinergia complessa – che non ha avuto luogo – tra la Regione Lazio, il Comune di Roma e i comuni della Regione in un contesto in cui, a seguito di complesse azioni di coordinamento, dovrebbero essere allargate le fasce orarie lavorative per consentire spostamenti flessibili verso i luoghi di lavoro. Ma stiamo parlando di ipotesi mai applicate dai tempi dell’era moderna. Le città sono impreparate a questo. Stabilire per decreto che l’orario di punta è quello che va fino alle 11,30 e non più fino alle nove del mattino, non può risolvere il problema di centinaia di migliaia di pendolari che alle sei del mattino saranno già ammassati sui marciapiedi delle Stazioni Ferroviarie in attesa dei treni o alle fermate dei Bus e delle metropolitane. In un Paese come il nostro in cui la burocrazia impedisce ogni introduzione innovativa nel sistema ordinamentale nazionale o ne richiede valutazioni che durano anni e che seguono spesso l’esito di conflitti giurisdizionali senza mai fine, non è possibile emanare un’Ordinanza l’ultimo giorno lavorativo di aprile e pretendere che tutto sia perfettamente funzionante il primo giorno lavorativo di maggio. È chiaro, che in estrema sintesi il messaggio che si vuole passare agli italiani è questo: arrangiatevi!
Lunedì quattro maggio, centinaia di migliaia di lavoratori pendolari si troveranno al posto di partenza per avviare le prove tecniche di un ritorno alla normalità. In questo, nel Lazio, saranno supportati da un provvedimento vago, senza dettagli provati, che elude i veri problemi di sovraffollamento e che dispone solo il ricorso ad accorgimenti che sarà difficile adottare.
Forse è il caso di auspicare che lunedì quattro maggio, in concomitanza con la fase due di un Paese imbavagliato da burocrazia, poca competenza e tanta paura delle responsabilità, i pendolari della Regione Lazio, inizino la loro prima giornata di lavoro post pandemia, affidandosi al proprio santo protettore e al buonsenso.