Domenico, Angelo, Alfredo Cerbara nasce a Gavignano di Roma il 1° maggio 1888 e muore alle Falde del Col di Lana, nel comune di Livinallongo del Col di Lana (BL) il 23 ottobre 1915, a ventisette anni e mezzo di età ed appena diciotto mesi di sacerdozio
Pubblicato su Il Presente, la Rivista dell’Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti e Dispersi in Guerra, riportiamo integralmente l’editoriale del cappellano militare dei Carabinieri, Graziano don Giuseppe.
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ll giovane Angelo Cerbara, studente della Congregazione dei Padri Somaschi, mentre adempie l’obbligo della Leva militare, nell’81° Reggimento fanteria Torino, viene mandato a Messina, dove il 28 dicembre 1908 c’era stato il terribile terremoto che provocò tra le novantamila e le centoventimila vittime. Soldato di leva, è tra i primi a prestare soccorso ai sopravvissuti, si prodiga all’estremo, tanto da meritare una medaglia di benemerenza e l’elogio della Famiglia Reale. Al termine del servizio militare rientra a Roma, riprende gli studi di Teologia, presso il Pontificio Seminario Romano, e gli studi di Lettere, all’Università La Sapienza. Lo studio è affiancato dal quotidiano impegno di accudire gli orfani accolti presso la Pia Casa di Santa Maria in Aquiro e delle orfane dei SS. Quattro Coronati, ente morale nato nel 1871, dopo l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia, dall’accorpamento dell’orfanotrofio di Santa Maria in Aquiro e del collegio Salviati, due storici istituti benefici romani.

Scrive a un compagno di studi:
(…) tu non puoi immaginare le scene strazianti di cui sono stato testimone… L’esempio del mio Fondatore, san Girolamo Emiliani, mi era sempre presente e, stimolato da questo esempio, mi caricavo sulle spalle quei cadaveri spesso fetidi, mutilati, sanguinanti, per comporli nella sepoltura.
Al termine del servizio militare rientra a Roma, riprende gli studi di Teologia, presso il Pontificio Seminario Romano, e gli studi di Lettere, all’Università La Sapienza. Lo studio è affiancato dal quotidiano impegno di accudire gli orfani accolti presso la Pia Casa di Santa Maria in Aquiro e delle orfane dei SS. Quattro Coronati, ente morale nato nel 1871, dopo l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia, dall’accorpamento dell’orfanotrofio di Santa Maria in Aquiro e del collegio Salviati, due storici istituti benefici romani.
Il 29 settembre 1911 scoppia la Guerra di Libia, Angelo è richiamato alle armi come sergente di sanità ed è inviato con il 26° Reggimento fanteria Bergamo a Derna.
Il 20 gennaio 1912 scrive al suo Rettore:
(…) Scrivo di sotto la tenda, all’incerta luce di una stearica che tremola al vento insidioso che penetra tra i teli infingardi e traditori. Mugghia il mare violentemente e l’onde sonore tengono bordone alle rime molto obbligate dei miei compagni di ventura che si raccontano, molto allegramente, le storielle passate.
Son dunque giunto a Derna dopo un viaggio abbastanza fortunato. È un paesotto che si ripara all’ombra delle palme dei datteri, bellissime, che qui destano un senso di compiacenza e di beltà. Il cielo è meravigliosamente bello, le notti serene sono uno splendore ed io estasiata rimiro lo stellato stupendo che invita alla preghiera, e l’anima, naturalmente cristiana, si eleva. La mia salute è ottima, il morale dei soldati elevato.
Il 17 u.s. si ebbe un combattimento per le condutture dell’acqua che ci avevano spezzato. Degli Arabo-Turchi fu un vero macello. Ne riportarono al nostro accampamento una ventina e furono religiosamente seppelliti al di fuori del recinto, dove riposano i nostri Eroi. Lacrime sì pietose non versai che un’altra volta nella mia vita, in uno di quei dolori che strappano l’anima. Mi facevano pietà quei visi stravolti e contratti bestialmente nell’atrocità del dolore, il rattrappimento degli arti, le teste mozze orribilmente, sfracellate, abrase, pensai che anch’essi erano eroi e uomini, e benedissi la soave carità di che non ci vieta di riconoscere l’eroismo e praticare la pietà anche verso i nemici, e nemici ostinati e barbari. Poche le nostre perdite, il nemico in fuga, decimato. Preghiamo che arrida all’Italia la vittoria suprema e ritorni la pace.
Rientrato in Patria completa gli studi, ordinato sacerdote celebra la prima Messa il 5 aprile 1914.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, con il grado di tenente cappellano militare, è assegnato al 60° Reggimento fanteria della Brigata Calabria, impegnato nell’alta Valle del Cordevole e quindi al Col di Lana, oggi in provincia di Belluno, a quei tempi contea principesca del Tirolo, Impero d’Austria.
L’11 luglio 1915 scrive al confratello, ancora studente, Guglielmo Turco:
Grazie a Dio, sto ottimamente: mi tocca un po’ sgambettare per questi monti e disputar la natura alle capre e ai camosci imperiali, ma viva l’Italia! Si va sempre avanti. (…) L’entusiasmo non ci fa sentire il rigore del gelo, l’incessante noia della pioggia, la violenza irosa della grandine che fa tremare le nostre tende. Dal terreno sentiamo potente, monitrice, sollevarsi la voce dei padri e degli eroi, sentiamo di calcare suolo italiano.
Addio: conservati sano, speriamo di rivederci presto… diremo senza ambagi tutto il nostro amore per la Patria, che Dio scorga, benedica, nuovamente renda maestra di civiltà a tutte le genti.
Nel mese di agosto è decorato di Medaglia d’Argento (B.U. 1916 d. 55 p. 2819) con la seguente motivazione:
Sotto il fuoco nemico, noncurante del pericolo, con costante ed ammirevole spirito di carità recava ai morenti il conforto della Religione e coadiuvava i medici ed i portaferiti nell’assistenza e nel trasporto dei feriti. Col di Lana, agosto 1915.
Il tenente cappellano militare don Giuseppe Ricciotti ricorda che, considerando anche i preti-soldato, padre Angelo non è il primo sacerdote italiano morto combattendo nella Prima Guerra Mondiale, ma crede bene che sia proprio il primo cappellano militare che cade nell’adempimento del suo ufficio.
Ricorda:
Egli era dappertutto: dov’era un soldato del suo Reggimento eri sicuro di vederlo, se non subito, di lì a poco. Non poteva stare senza i suoi soldati. E anche durante l’attacco era presente, in prima fila. Nei numerosi attacchi dati dal suo Reggimento tutti i suoi ragazzi l’avevano sempre veduto uscire con loro dalle trincee, arrampicarsi con loro su per le falde verso i reticolati nemici, avevano tutti udito le sue parole d’incitamento; tutti i feriti se l’erano visto vicino appena caduti, tutti l’avevano veduto prima di giungere al posto di medicazione.
Il posto di combattimento del cappellano era dove giungevano come a meta ordinaria le pallottole, le granate, le bombe a mano dei nemici. Diamine! Se qualcuno dei suoi ragazzi non avesse, disgraziatamente, fatto in tempo a giungere al posto di medicazione? Per lui era troppo comodo il posto di medicazione! Il cappellano, insomma, doveva stare avanti al medico, insieme al soldato.
Povero Cerbara! Tutto il giorno se ne andava in giro per questi monti con quel suo passo caratteristico, direi quasi barcollante, in cerca dei suoi ragazzi. La domenica diceva Messa, ad esempio, qui e l’altra se l’andava a dire a una distanza di dieci, quindici, anche venti chilometri, digiuno, allegro, con quel suo berrettino verdastro in testa che gli dava l’aspetto tra il pecoraio e l’alpino.
Il 1° novembre 1915, il colonnello Alessandro Saporiti, Comandante del Reggimento, comunica al Vescovo di Campo, mons. Angelo Lorenzo Bartolomasi:
È con vivo dolore che comunico all’Eccellenza Vostra la morte gloriosa del cappellano militare padre Angelo Cerbara.
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