(di Rosangela Cesareo) Lucia Azzolina, ministro dell’istruzione, ha affermato che la didattica a distanza, in questa pandemia, è stata un successo.
Penso ad una battuta, alla satira, a Crozza che la imita. Mi sbaglio, l’ha detto sul serio. È seria.
Dopo due mesi di scuole chiuse, il ministro ha tirato le sue somme secondo cui la c.d. DAD starebbe andando molto bene.
Questa sorta di auto-celebrazione di un servizio improvvisato senza alcuna preparazione da parte di nessuno, ha generato difficili e complicate circostanze che si frappongono nella quotidianità delle famiglie italiane in regime di quarantena, nella vita di genitori che devono lavorare più di prima per fronteggiare la preoccupante crisi economica da casa in smartworking, ma devono anche occuparsi della casa, di cucinare, di accudire figli di tutte le età, di gestire pc e connessioni ad internet lente e bande che non reggono la moltitudine di connessioni.
Il ministro Azzolina non ha figli, gestisce un ministero, ma gestire una famiglia in stato di crisi è un’altra cosa. Gestire tutto e tutti in questo momento terribile ha degli equilibri delicatissimi, fragili, che a spezzarsi è un attimo e le conseguenze sono tante, troppe e porre rimedio poi non è affatto semplice.
Immaginate una casa di 50 mq, una famiglia che ci vive con due figli, spesso tre, un solo computer a disposizione con connessioni difficili.
Bambini di scuola primaria che non comprendono quello che sta accadendo intorno a loro, che credono che “scuole chiuse” significa vacanza ed invece sono costretti sulle sedie dai genitori che mentre provano a lavorare, restano con gli occhi puntati su di loro, occhi che li fulminano ad ogni movimento costringendoli a studiare, uno studio che perde così la bellezza del sapere. Mentre il figlio ancora più piccolo vuole giocare, mangiare, fa i capricci perché vuole andare al parco sull’altalena, sullo scivolo e non si può.
Vorrei chiedere al ministro di assistere live ad una “normale” giornata di DAD. Intere lezioni di: “mi senti maestro?”; “io non ho linea!”; “io non vedo la condivisione schermo!”; “io non sento più!”; “la mia telecamere è bloccata!” e potrei continuare per cinquanta minuti, ovvero la durata di una lezione.
Poi ci sono, ahimè, scuole messe ancora peggio, quelle che non hanno mai iniziato ad usare il web per fare lezione ai propri alunni. Questa è la situazione ad oggi, dopo due mesi.
E dopo cosa succederà?
Ho sentito questo: tre giorni una metà di alunni saranno fisicamente in aula e l’altra metà collegata collegata online, gli altri tre giorni si scambieranno.
Ergo: il caos nel caos. Più totale. Famiglie sempre più allo sbaraglio.
Leggo ancora che così sarà tutelata la salute. Con questo metodo? E chi lo dice? Il Covid non ha detto a nessuno come si comporterà a settembre.
Intanto passeranno sei mesi, un tempo lungo per intervenire in maniera determinata ed efficace sul sistema ict delle scuole italiane, sulla preparazione degli edifici, delle aule, dei giardini, sull’istruzione alle tecnologie, sulla programmazione della banda ultra larga per tutti, ma soprattutto sulla consegna di un pc a tutte le famiglie che ne hanno bisogno.
Perché, tutti i bambini, devono avere il diritto di studiare allo stesso modo degli altri, senza differenza alcuna.
E ancora, bisogna che la scuola parli ai bambini, spieghi loro quello che sta succedendo e quello che verrà o potrà succedere. Bisogna prepararli a tutte le variabili possibili e lo deve fare la scuola, l’unica autorità riconosciuta dai bambini in questa tematica.
Dobbiamo tutelare il futuro dei nostri figli e senza la cultura non è possibile.
Ad oggi non esistono linee guida, le scuole continuano a brancolare nel buio in compagnia delle famiglie italiane.