Pechino risponde ai dazi di Trump

La risposta di Pechino ai nuovi dazi imposti da Donald Trump sui prodotti cinesi importati negli Stati Uniti è arrivata tempestiva, ma non senza sfumature. Le contromisure cinesi, pur evidenziando la volontà di difendere gli interessi nazionali, appaiono più simboliche che effettive, secondo molti analisti. Sebbene abbiano colpito settori strategici come l’energia, l’automotive e le esportazioni di metalli, le azioni della Cina sembrano essere progettate principalmente per inviare un messaggio politico piuttosto che per provocare un danno diretto all’economia statunitense. E, nonostante l’escalation delle tensioni, alcuni esperti vedono in questa risposta una strategia volta a guadagnare leva per future negoziazioni.

Il governo cinese ha deciso di rispondere ai dazi aggiuntivi del 10% imposti da Washington con una serie di contromisure che mirano a colpire singole aziende americane, a inasprire le regolazioni su alcune esportazioni e a rafforzare le indagini antitrust nei confronti di colossi come Google, Nvidia e Intel. Seppur questo giro di punizioni sembri un atto di rappresaglia, non va sottovalutato che la Cina ha scelto di non scatenare una guerra commerciale totale. Le misure adottate, infatti, riguardano solo una parte limitata delle esportazioni americane verso la Cina – circa il 30% – e potrebbero rivelarsi più efficaci come tattica negoziale che come vera e propria vendetta economica.

Secondo alcuni analisti, come Louise Loo di Oxford Economics, la risposta di Pechino può essere letta come un tentativo di non esagerare con la punizione, lasciando aperta la possibilità di azioni più incisive in futuro, qualora le negoziazioni con gli Stati Uniti non dovessero prendere una direzione favorevole. In questo senso, l’impressione prevalente è che la Cina stia preparando il terreno per una possibile nuova fase della guerra commerciale, ma senza mettere in pericolo i delicati equilibri globali.

Dietro la reazione relativamente misurata, però, si nasconde una visione strategica più ampia. Il presidente cinese Xi Jinping ha più volte ribadito le sue ambizioni di vedere la Cina emergere come leader di un ordine mondiale alternativo, lontano dalla dominanza occidentale. Secondo la BBC, mentre gli Stati Uniti si trovano sempre più isolati, con politiche che minano la cooperazione internazionale, Pechino sta cercando di proiettare un’immagine di stabilità, calma e affidabilità come partner commerciale globale.

La politica estera della Cina ha guadagnato terreno in Africa, America Latina e Sud-Est asiatico, dove la sua crescente influenza sta ridisegnando gli equilibri geopolitici. Non è un caso che, mentre Trump minaccia di colpire anche l’Unione Europea con i dazi, Pechino si stia proponendo come alternativa alle tensioni che nascono da Washington, cercando di attrarre quei paesi che potrebbero essere attratti dalla sua politica economica meno conflittuale.

Oltre alle misure economiche, la Cina ha riaperto le indagini antitrust contro alcune delle più potenti aziende tecnologiche statunitensi. Google, Nvidia e Intel sono nel mirino di Pechino, e questo potrebbe segnalare l’intensificarsi delle tensioni in un settore chiave per entrambe le potenze. La riapertura delle indagini su Google e Nvidia, in particolare, potrebbe avere un impatto diretto sulle operazioni di queste aziende in Cina, che rappresenta uno dei mercati più importanti per le vendite di chip e altre tecnologie. Tuttavia, secondo gli esperti, queste indagini potrebbero anche essere utilizzate come strumento per esercitare pressioni nelle trattative future con Washington.

Ma le manovre cinesi nel campo della tecnologia potrebbero non essere senza rischi. Se da una parte potrebbero rafforzare la posizione della Cina nei negoziati, dall’altra potrebbero scatenare una nuova ondata di tensioni legali e commerciali con gli Stati Uniti. Le sanzioni antitrust potrebbero danneggiare non solo le aziende coinvolte, ma anche l’economia cinese, che dipende da queste tecnologie per alimentare la propria espansione industriale.

Molti osservatori ritengono che Pechino stia cercando di navigare in un terreno minato, dove ogni mossa deve essere ponderata con attenzione per evitare di compromettere i delicati equilibri globali. Yun Sun, direttore del programma Cina presso lo Stimson Center, ha osservato come il peggioramento della leadership e della credibilità degli Stati Uniti possa giocare a favore della Cina, rendendola un partner commerciale più desiderabile per i paesi che sono alla ricerca di stabilità in tempi di incertezze geopolitiche.

Tuttavia, non tutti i paesi sono pronti ad abbracciare la Cina senza riserve. Chong Ja Ian di Carnegie China ha sottolineato come le alleanze regionali, soprattutto nel Pacifico, siano sempre più incerti, con paesi come Giappone, Corea del Sud e Australia che guardano con sospetto all’ascesa della potenza cinese. Le preoccupazioni riguardo la crescente assertività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e la questione di Taiwan rimangono temi caldi nei rapporti internazionali, e potrebbero costringere i paesi alleati degli Stati Uniti a riflettere attentamente su come navigare in questo panorama globale in cambiamento.

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