La Russia apre ad un intervento di pace del Papa. La Polonia diffida di una missione a Kiev del trio Scholz-Macron-Draghi. L’Ucraina, invece, presenta una lista della spesa alla riunione dei ministri della Difesa che si terrà oggi presso la Nato a Bruxelles.
Sul terreno, Severodonetsk è praticamente circondata e i collegamenti con Lisichansk sono tagliati. Il negoziatore in capo di Kiev, Mikhailo Podolyak, twitta: “Abbiamo bisogno di armi pesanti”, chiedendo 1.000 obici da 155, 300 sistemi lanciarazzi, 500 tank, 1000 droni, 2000 blindati.
Ma è poco probabile che le richieste ucraine saranno soddisfatte dagli gli Stati Uniti che, ad oggi, hanno fornito solo quattro lanciarazzi mobili. I proclami del presidente Volodymyr Zelensky e dei suoi collaboratori vogliono attribuire a Nato e Ue la responsabilità di una sconfitta nel Donbass. Mentre Kiev denuncia la perdita del 25% dei suoi terreni coltivabili, scatta l’ultimatum a Severodonetsk, dove sono saltati i ponti e i soldati ucraini sono circondati al grido dei filorussi: “Arrendetevi o morirete“.
Ieri Gazprom, la compagnia statale russa del metano ha avvertito che ridurrà i volumi di gas (circa il 40%) inviati verso l’Unione europea attraverso il Nord Stream I, il gasdotto che parte dal Golfo di Finlandia e arriva in Germania aggirando Paesi baltici, Bielorussia e Polonia. Al netto del comunicato della compagnia che parla di problemi tecnici, la mossa appare essere solo di natura politica.
Sulla situazione, a seguito dell’intervento sulla rubrica “Diario di Guerra” di Rete 4, abbiamo sentito il generale Pasquale Preziosa, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare ed oggi presidente dell’Osservatorio sulla sicurezza di Eurispes.
Generale come legge la situazione sul campo? Ci possono essere, nell’immediato, possibili soluzioni che possono essere intraprese per giungere ad una tregua?
Sotto il profilo tattico i russi, giorno dopo giorno, stanno avanzando di qualche centimetro, di qualche metro e non stanno retrocedendo. Ma c’è anche un’altra considerazione: stanno ammassando ulteriori battaglioni oltre ai 104 già schierati nella zona. Altri 40 battaglioni composti da riservisti sono pronti ad unirsi per quelle che saranno, molto probabilmente, le operazioni di settembre. Questo naturalmente sotto il profilo tattico.
Sotto il profilo strategico i russi non avendo preso Kiev, facendo cadere materialmente l’Ucraina, si sono concentrati nelle conquista delle zone che hanno già dichiarato ed approvate dalla Duma. Hanno aggiunto a quelle zone anche l’area che va da Kharkiv a Kherson. Sulla tregua la visita dei tre capi di stato diventa importante. Sotto il profilo politico globale l’attenzione è comunque profondamente variata: gli Stati Uniti guardano sempre più al Pacifico, confinando la questione ucraina ad un livello più prettamente regionale e quindi europeo.
A fronte di un evidente stallo occorre lanciare dei segnali. Io credo che il segnale della visita dei tre capi di stato in Ucraina è importantissima come lo è anche il segnale lanciato dal Papa per l’apertura delle trattative. Al riguardo, credo che una prima risposta a tali iniziative ci sia stata da parte della Russia che tagliando del 40% il flusso di gas alla Germania vuole spingere l’Europa ad essere più incisiva nel proporsi come mediatrice per quanto riguarda il futuro dei rapporti russo – ucraini.
L’Unione europea scende in campo
Sul lato politico la Commissione europea, molto probabilmente venerdì, darà l’ok allo “status” di candidato ad entrare nell’Ue per l’Ucraina. Al di là della notizia, l’iter definitivo è, di fatto, però molto lungo.
Per dare un segnale positivo, come ha detto Preziosa, Draghi Macron e Scholz si recheranno a Kiev giovedì per incontrare il presidente Zelensky. In quell’occasione gli anticiperanno la decisione di Bruxelles e gli chiederanno quali possano essere i margini per arrivare ad una tregua con la Russia in tempi brevi.
Certo è che Il percorso da “candidato” a membro effettivo dell’Unione non è cosa semplice perchè il parere della Commissione dovrà essere accolto dal Consiglio europeo. Anche in questo caso serve l’unanimità.
A remare contro questo processo potrebbe esserci l’Ungheria di Orban ma anche Francia e Germania che sono pronti ad accettare la candidatura ma nutrono forti dubbi sulla futura adesione.
Al prossimo Consiglio europeo del 23 giugno è in discussione l’idea di accettare lo “status” di candidato associandolo a una specie di “Modello Bosnia“. Ossia vincolare la “promozione” ad una sorta di accordo simile a quello siglato con la Bosnia nel 2007. Accordo di stabilizzazione e associazione con l’Ue. In quel caso si trattava di un Trattato che anticipava la richiesta di adesione. In questo caso sarebbe successivo ma porrebbe una serie di paletti prima che l’Unione prenda in considerazione la possibilità che Kiev diventi il ventottesimo membro dell’Ue. E uno dei requisiti indicati, presente nei Trattati, è quello dell’unità del Paese. Circostanza che al momento l’Ucraina non può garantire. Ed è per questo che nella missione del “triangolo” Roma-Parigi-Berlino, uno degli interrogativi riguarderà proprio le chance da assegnare al processo di pace e quindi alla ricomposizione o composizione territoriale del Paese. Tutte condizioni, dunque, che hanno ammorbidito l’iniziale ostilità di Parigi e Berlino.