Incredibile: digiuno intermittente migliorerebbe capacità cognitive

   

(di Giovanni Calcerano) Il digiuno intermittente (in inglese Intermittent Fasting o IF) è un termine generico che indica diverse tipologie di diete nelle quali si alternano un periodo di digiuno ed uno di non digiuno.

La restrizione calorica che ne consegue, ovviamente se ottenuta senza malnutrizione e senza alcuna carenza, può rallentare, secondo i ricercatori, il processo di invecchiamento biologico e portare quindi ad un miglioramento della salute e ad un aumento sia della durata media che della durata massima della vita.

I protocolli di digiuno intermittenti più diffusi possono essere raggruppati in 2 categorie: digiuni che coinvolgono l’intera giornata e digiuni con alimentazione limitata nel tempo.

Nella prima categoria, la dieta più restrittiva è sicuramente quella che prevede un digiuno a giorni alterni (la cosiddetta dieta 1:1). Ciò comporta quindi una astensione di 24 ore seguita da un periodo di alimentazione di 24 ore. Esistono però anche altre modalità: ad esempio, molto seguita è la dieta 5: 2 che comporta un digiuno di due giorni consecutivi all’interno di una intera settimana.

L’alimentazione limitata nel tempo, invece, è quella che implica la possibilità di mangiare solo durante una determinata finestra temporale all’interno della giornata. La forma più comune comporta il digiuno per 16 ore su 24 ed il consumo di cibo solo durante le 8 ore rimanenti. Anche se può sembrare particolarmente restrittiva, tale modalità può essere ottenuta saltando la colazione e mangiando solo nell’intervallo compreso tra le ore 13 e le ore 21 (o in analoghi intervalli di 8 ore).

Per controllare la reale efficacia dell’IF, un team di ricercatori del National Institute on Aging degli Stati Uniti ha effettuato una sperimentazione su 40 topi ed ha scoperto che metterli a digiuno alternato nella forma 1:1 (ossia, come detto, un giorno di astensione ed uno di alimentazione) porta ad un incremento del loro funzionamento cognitivo. La ricerca è stata condotta dal Dr. Mark Mattson, attuale capo del Laboratorio di Neuroscienze presso lo stesso istituto, professore di neuroscienze presso la Johns Hopkins University, ed uno dei più importanti ricercatori nel campo dei meccanismi cellulari e molecolari alla base di molteplici malattie neurodegenerative, come il Parkinson e il morbo di Alzheimer.

Sulla base della registrazione dell’attività cerebrale, il team di ricerca è stato in grado di verificare che i topi coinvolti nella sperimentazione erano più vigili e che le parti del loro cervello deputate alla memoria e all’apprendimento erano più attive in conseguenza del digiuno intermittente. Il team ha anche rilevato che i topi presentavano, in media, un aumento del 50% di una sostanza chimica chiamata “fattore neurotrofico derivato dal cervello” (BDNF), una proteina che, a quanto scoperto in  precedenti ricerche, svolge un ruolo fondamentale nel prolungare la vita delle cellule nervose e nel promuoverne la crescita di nuove (oltre a migliorare il funzionamento cognitivo generale).

Mattson ha evidenziato che, nella ricerca, sono stati usati anche altri topi, alimentati invece ogni giorno, come set di controllo. E tutti i topi, sia quelli che digiunavano sia quelli che mangiavano ogni giorno, consumavano lo stesso numero di calorie per settimana. E’ emerso però che solo i topi a digiuno a giorni alterni mostravano benefici cognitivi. Ciò si spiega con il fatto che, quando il corpo affronta il digiuno per periodi superiori alle 12/14 ore, smette di utilizzare l’energia immagazzinata nel fegato ed è obbligato ad utilizzare i depositi di grasso. Per fare ciò, però, il corpo deve prima convertire tali depositi in chetoni, i quali agiscono direttamente sulle cellule nervose inducendole a produrre BDNF. E’ quindi questo il motivo per il quale i topi a digiuno mostravano un miglior funzionamento cognitivo; mangiare invece poco ed in piccole quantità ogni giorno non conferisce gli stessi benefici del digiuno intermittente.

La ricerca suggerisce anche che gli stessi effetti di attivazione e stimolazione cerebrale potrebbero avvenire, nello stesso modo, negli esseri umani. D’altronde, ciò potrebbe essere un retaggio del lontano passato in cui, per affrontare i periodi di difficile reperimento del cibo, era necessario pensare nel modo più chiaro possibile per sopravvivere. Quindi, in termini evolutivi, la capacità di migliorare il funzionamento del proprio cervello durante il digiuno ha permesso, a coloro i quali ne erano in possesso, di riprodursi più facilmente e di passare dunque tale caratteristica alla propria progenie.