(di Massimiliano D’Elia) La notizia è riportata su Corsera, alcuni deputati municipali di San Pietroburgo hanno elaborato un documento, firmato da circa settanta colleghi di altre città, per chiedere le dimissioni del presidente Vladimir Putin:
“Noi deputati municipali russi, riteniamo che le azioni di Vladimir Putin siano dannose per il futuro della Russia e dei suoi cittadini. Chiediamo le dimissioni di Vladimir Putin dalla carica di presidente della Federazione. In questo mutismo generale, dove i nostri parlamentari non alzano la testa, siamo noi, piccoli pesci di mare che abbiamo poca forza politica, che gestiamo solo le questioni quotidiane delle nostre municipalità, ma rischiamo come tutti gli altri di finire dentro”.
Il promotore della petizione è la deputata del distretto di Semyonovsky di San Pietroburgo, Ksenia Thorstrom. Il documento è diventato virale su telegram.
Un messaggio forte che viene dai territori russi, dove probabilmente le sanzioni imposte dall’Occidente stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali che non riescono a dare risposte concrete alla popolazione. I responsabili delle municipalità devono poi anche far digerire alle famiglie dei loro distretti la morte sul fronte di tantissimi giovanissimi russi (stime ucraine parlano di oltre 50mila morti tra le file dell’esercito di Mosca).
L’iniziativa di questi deputati ha un valore simbolico mediatico dirompente perchè costringe questi amministratori a rischiare il carcere per non parlare di probabile uccisione, considerate le tante morti sospette di giornalisti, oligarchi e oppositori politici.
Putin teme la disfatta totale
Al 39° vertice dello Sco – Shanghai Cooperation Organization – di Samarcanda (Ubekistan) Putin ha constatato che Cina ed India non lo appoggiano totalmente nella sua operazione speciale militare, come aveva inzialmente immaginato quando decise si invadere l’Ucraina il 24 febbraio scorso. In Ucraina le forze militari di Kiev, grazie al continuo sostegno occidentale (denaro, armi ed intelligence), sono riuscite a riconquistare importanti fette di territorio – 8mila metri quadrati circa a ridosso di Kherson.
Con l’intervento dell’Onu e la mediazione della Turchia, la questione del grano e frumento bloccato nei porti ucraini non è più una leva strategica utilizzabile da Putin. La questione energetica può diventare un problema per l’Europa a ridosso del periodo invernale anche se Putin dipende ancora e almeno fino al 2030 dal denaro del Vecchio Continente: nel 2024 inizieranno i lavori del gasdotto Siberian II che collegherà la Russia alla Cina attraversando la Mongolia. Il progetto del gasdotto, denominato Soyuz Vostok, potrebbe avere una capacità di esportazione di 50 miliardi di metri cubi all’anno, ovvero 1,3 volte superiore a quella del Siberian I che trasporta alla Cina 35 miliardi di metri cubi (come termine di paragone il Nord Stream I ne trasporta all’Europa 50 miliardi di metri cubi). I lavori del Siberian II inizieranno nel 2024 e dovrebbero terminare nel 2030. Gazprom ha anche annunciato che la Cina d’ora in avanti salderà i suoi contratti per la fornitura di gas in rubli e yuan, invece che in dollari. Il Gas proverrà dai giacimenti di Yamal che attualmente alimentano i gasdotti che portano il gas verso occidente e verso l’Europa.
Di fronte al terreno che diventa sempre più friabile sotto i piedi di Putin, il timore che possa essere usata una bomba atomica tattica in Ucraina rende le notti insonni a molti analisti d’ingelligence occidentali.
Ad intervenire sull’argomento direttamente il presidente Usa, Joe Biden che ha avvertito Putin: “l’uso di armi nucleari tattiche in Ucraina susciterebbe un’adeguata risposta americana”.
Nel frattempo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto agli alleati armi più potenti, come le batterie di missili a lungo raggio Atacms che, con una gittata di circa 300 chilometri, darebbero a Kiev la possibilità di colpire la Crimea e poter condurre attacchi in profondità in territorio russo.
La richiesta di Zelensky è stata messa nel cassetto dai generali del Pentagono, troppo rischiosa, potrebbe accendere la miccia delle testate nucleari di Putin. I generali hanno riferito a Biden che gli ucraini, con la richiesta di nuove armi a gittata più lunga, avrebbero tratto vantaggi risibili a fronte di un pericolo più grande, quello di alimentare in Putin l’estrema decisione di dover utilizzare armi chimiche, batteriologiche o nucleari. La dottrina militare del Cremlino è chiara al riguardo e prevede l’uso dell’arma nucleare in caso di minaccia diretta all’integrità territoriale della Russia.
A sostegno dei capi del Pentagono è intervenuto il vicedirettore della Cia, David Cohen che ha invitato a non sottovalutare Putin, se messo con le spalle al muro.