(di Giuseppe Paccione) Da settimane si sta discutendo attorno al tema dell’approvvigionamento di strumenti militari a favore delle forze militari ucraine che devono difendersi dall’aggressione della Russia, iniziato il 24 febbraio. Alcuni Stati membri dell’Alleanza atlantica hanno già inviato delle armi, altri hanno garantito al più presto tale approvvigionamento, come gli Stati Uniti che hanno garantito anche l’assistenza finanziaria per la sicurezza in Ucraina, la stessa Germania che, inizialmente, era restia all’esportazione di armi in una zona bellica, ha poi deciso di consegnare una serie di strumenti militari alle forze militari ucraine, anche il resto degli Stati si sono ritrovati sullo stesso binario del rifornimento di armi e dispositivi di protezione al governo ucraino.
La preoccupazione di supportare militarmente l’Ucraina con l’invio di armi potrebbe rischiare di violare l’istituto della “neutralità”, che la fornitura di mezzi bellici potrebbe essere considerato un atto di guerra da parte statunitense. Chiaramente, la posizioni degli Stati Uniti è stata discussa attorno alla liceità di armare le truppe ucraine. Si prenda l’esempio del rifiuto da parte del governo americano all’offerta del governo di Varsavia di trasferire alcuni caccia MiG-29 in Ucraina, mercé una base degli Stati Uniti sul territorio alemanno, mentre vi era il timore della fornitura dei velivoli militari battenti bandiera polacca mediante una lecita partecipazione al conflitto.
Tali timori, che vanno menzionati, sono stati alimentati da Mosca, che ha tentato di alterare l’onda giuridica della partecipazione al conflitto bellico, dichiarando che le autorità moscovite avrebbero trattato le sanzioni economiche contro la Russia come un “atto di guerra”, non solo, ma anche avvertendo quegli Stati, qualora dovessero mettere a disposizione le loro basi per essere adoperate come rifugio sicuro per i velivoli da guerra battenti bandiera ucraina e il loro impiego contro l’esercito russo, potrebbe essere reputato come un vero coinvolgimento di tali Stati nel conflitto armato. Il punto di vista giuridico russo, conseguentemente, si fonda sulle disposizioni della neutralità che non reggono più, per cui, secondo Mosca, sia gli Stati Uniti, sia gli altri Stati, che supportano il governo ucraino, dovrebbero rifiutarsi di accettare queste argomentazioni obsolete.
La neutralità
Il tema dell’istituto della neutralità ha un percorso storico abbastanza lungo, in cui già veniva dibattuto nel periodo ellenico romano, se esso fosse riconosciuto durante un conflitto bellico. A prescindere dalla questione che il vecchio jus gentium riconoscesse o meno il concetto di neutralità, l’architettura giuridica che ha dominato sul vecchio continente europeo, attorno al XVII secolo, dove vigeva l’antiquorum ordo (il vecchio ordine mondiale), lo ritenne fondamentale ed applicabile. Nel XVIII secolo, infatti, gli Stati ebbero modo di sviluppare una gamma dettagliata e consistente di norme, che aveva come obiettivo quello di regolamentare le nazioni che bramavano restare non coinvolti nelle ostilità belliche.
L’archetipo della neutralità era considerato una “valvola di sicurezza” che poneva sotto l’ombrello quegli Stati che non erano minimamente coinvolti in un conflitto militare, cioè a dire quel diritto fondamentale in cui alcuno Stato belligerante potesse costringere uno Stato che si trovi all’interno della sfera della neutralità a ricorrere al suo fianco con lo strumento delle armi, tranne se i due Stati non avessero preventivamente concertato con un trattato l’alleanza, ricordando anche che il territorio di uno Stato neutrale era considerato inviolabile. Ergo, il diritto internazionale inibiva di combattere e reclutare uomini in divisa su un terreno neutrale. I neutrali erano nel diritto di trattare affari con i belligeranti, come, ad esempio, durante la guerra della rivoluzione francese.
Con l’avvento dei diritti, sorgono anche le responsabilità, nel senso che gli Stati neutrali fossero rigidamente imparziali e che era loro vietato discriminare fra le Parti in conflitto che altrimenti non ci fosse un chiaro accordo. Sino a quando uno Stato neutrale brami rimanere nel quadro della sua neutralità, deve essere del tutto imparziale nei riguardi degli Stati belligeranti, perché qualora favorisse una delle Parti a danno dell’altra, non potrà lamentarsi di essere trattato da essa come un complice aderente del suo nemico.
Il vincolo di imparzialità non era una disposizione isolata, ma una conseguenza in base alla quale gli Stati erano nel diritto di muovere guerra per riparare i torti subiti. Commerciare con una Parte ad esclusione dell’altra, trasformava uno Stato neutrale – un amico comune di entrambi gli Stati belligeranti – in Stato cobelligerante, un alleato del partner commerciale, in quanto un trattamento di parte interferiva con lo “jus ad bellum” della Parte sfavorita. La discriminazione nel commercio veniva considerato un atto di guerra che consentiva l’altra Parte ad attaccare il discriminatore anche senza che avesse sparato un colpo. La V Convenzione dell’Aia del 1907, concernente i diritti e i doveri delle Potenze e delle persone neutrali in caso di guerra per terra, viene delineato il rigoroso dovere di imparzialità nella sua formulazione delle disposizioni che riguardano l’istituto della neutralità, in cui si evince che ogni misura di carattere restrittiva o proibitiva da una Potenza neutrale dovrà essere da essa applicata in modo uniforme ai belligeranti.
Tuttavia, l’istituto della neutralità subì molti mutamenti agli inizi del novecento del secolo scorso, a partire proprio dal Patto Briand-Kellog, tuttora in vigore, che impose a ogni Stato di rinunciare alla guerra o al ricorso alla forza armata. Accordo che ha spinto la comunità internazionale a imboccare la strada di serie iniziative volte a bandire il ricorso agli strumenti bellici, avviando la trasformazione giuridica nell’odierno ordinamento giuridico internazionale. Non solo, ma sulla scia di tale accordo del 1928, proprio la Carta onusiana poneva le fondamenta del “divieto dell’uso della forza come strumento aggressivo”, inibizione divenuta principio di jus cogens e di diritto imperativo valevole erga omnes, e al riconoscimento della legittima difesa.
Il mutamento della struttura della neutralità è anche avvenuto, negli anni quaranta del XX secolo, dove, ad esempio, gli Stati Uniti avrebbero potuto fornire strumenti bellici e attrezzature militari per contrastare l’avanzata tedesca hitleriana in Europa. Difatti, gli statunitensi non avevano ancora preso parte al conflitto contro il nazi-fascismo, ma il timore era che l’approvvigionamento di armi agli alleati avrebbe violato il vicolo della neutralità statunitense, rendendo gli Stati Uniti cobelligeranti. Non dimenticando che l’opinione pubblica statunitense non era d’accordo che il proprio Paese venisse coinvolto nel conflitto armato del continente europeo.
Se l’attuale conflitto russo-ucraino si fosse svolto negli anni venti di cento anni fa, la Russia avrebbe avuto un’argomentazione giuridica ed una base politica per affermare che gli Stati Uniti e gli alleati potessero divenire parti allo scontro bellico, fornendo armi alle truppe militari ucraine. Nel vecchio ordine mondiale, prima dell’accordo Briand-Kellog, le contromisure economiche contro uno Stato belligerante e la fornitura di armi da una parte e non dall’altra venivano reputate violazioni dell’obbligo di neutralità. A partire dall’adozione dell’accordo per mettere al bando il ricorso alla forza militare e l’impegno al rispetto della Carta delle Nazioni Unite, sorgeva un nuovo ordine internazionale, dove l’impiego dell’azione coercitiva armata veniva considerato non applicabile quando si voleva aggredire un qualsiasi Stato sovrano e indipendente; tuttavia, va detto che gli Stati possano fornire mezzi militari e altri supporti logistici bellici a uno Stato che sia vittima di un attacco armato in modo da potersi difendere.
La fine dell’imparzialità sta ad indicare che gli Stati sono autorizzati ad approvvigionare di armi o strumenti logistici militari all’Ucraina. Ciò non viola alcun obbligo giuridico dell’istituto della neutralità. Rammentando che gli Stati possono diventare parti al conflitto armato russo-ucraino solo se essi facessero ricorso all’azione coercitiva armata contro la Russia, ritenendo che si può sostenere che l’assistenza militare all’Ucraina, Stato aggredito da parte della Russia, non viola l’odinamento giuridico internazionale sebbene si tratta di supportare un Paese che si sta difendendo dall’aggressore russo, seguendo il dettame della legittima difesa individuale e collettiva sancito proprio dalla carta delle Nazioni Unite.
La Russia chiede all’Ucraina di applicare la neutralità pari a quella svedese, che ha una neutralità di natura politica, non fondata su uno strumento internazionale. Alla proposta di Mosca, il governo ucraino ha precisato che non è interessato al modello della neutralità svedese, ribadendo che l’Ucraina aspira solo ad avere le garanzie assolute di sicurezza contro la Russia attraverso un accordo i cui firmatari di devono impegnare ad intervenire a fianco di Kiev in caso di una eventuale aggressione, cancellando l’idea di una neutralità smilitarizzata, stile austriaco svedese, con un proprio esercito. Difatti, l’Austria nel 1955 approvò la dichiarazione di neutralità, quale atto costituzionale di carattere politico e non di un accordo internazionale. Tale dichiarazione sancisce l’impegno sine die a restare fuori da qualsiasi conflitto, a non aderire ad alleanze militari ed evitare di mettere a disposizione il proprio territorio a basi militari di Stati terzi. Mentre per la Svezia, è stato già detto che, ai sensi del diritto internazionale vi è un impegno ad una “neutralità convenzionale”, ma non a quella permanente.