Quando il cancro non cancella la voglia di figlio

(Nicola Simonetti) Negli ultimo 10 anni, sono state 3.519 le pazienti oncologiche italiane che hanno voluto preservare la propria fertilità, decidendo di avere un figlio, dopo aver accantonato l’episodio cancro. Di queste, 2.148 hanno utilizzato la conservazione sotto ghiaccio degli ovociti (per un totale di 17.181 ovociti) e 1.371 quelle che, invece, hanno fruito della crioconservazione di tessuto ovarico (censimento dal Registro Nazionale di PMA dell’Istituto Superiore di Sanità).
Ogni anno, in Italia, circa 5.000 donne under 40 sono colpite da tumore e si stima che il tasso di sopravvivenza a cinque anni sia intorno al 65% superando l’85% per alcune neoplasie come i linfomi e il cancro alla mammella, traguardi impensabili in passato.
“Di fronte a questi dati – ha detto Giacomo Corrado, oncologo ginecologo della Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS di Roma al Convegno dell’Istituto Valenciano di Infertilità con la partecipazione dell’Associazione Italiana Malati di Cancro e dell’ISS – appare chiaro come l’oncologo debba farsi carico non solo della sopravvivenza della paziente ma anche della sua qualità di vita, con uno sguardo attento al suo futuro e, per quelle più giovani, alla possibilità di avere figli. Inoltre, i dati scientifici dimostrano che gran parte dei farmaci utilizzati per i trattamenti chemioterapici in pazienti gravide al secondo e terzo trimestre non crea rischio sia al prodotto di concepimento in via di sviluppo che al bambino nel suo sviluppo tardivo”.
Preservare la fertilità, attraverso la crioconservazione degli ovociti e del tessuto ovarico eseguito su richiesta specifica dell’interessata, diventa, quindi, un momento fondamentale del processo terapeutico dopo una diagnosi di tumore, soprattutto in un Paese come il nostro dove è sempre più avanzata l’età media delle donne che cercano il primo figlio.
“La ricerca scientifica nella preservazione della fertilità ha raggiunto risultati incredibili, che fanno ben sperare per il futuro. Una tecnica che utilizza ovociti vetrificati piuttosto di quelli in fresco – ha detto Antonio Pellicer, presidente IVI e professore ordinario di ostetricia e ginecologia, università di Valencia – dimostrata, per primo, dal gruppo IVI (dal 2017 L 2017 oltre 1.200 donne ne hanno usufruito gratuitamente presso le IVI), non modifica le percentuali di successo nei protocolli di riproduzione assistita; le percentuali di fecondazione, di qualità embrionaria, di impianto e di gravidanza tra ovuli in fresco e in vitro sono, infatti, sovrapponibili”.
“ Da oltre dieci anni – ha detto Giulia Scaravelli, responsabile del Registro di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – abbiamo avviato iniziative di formazione in tutta Italia per promuovere una corretta informazione sui potenziali rischi delle terapie antitumorali sul sistema riproduttivo.
Il Registro –- favorisce la conoscenza sulle diverse tecniche di preservazione della fertilità e, allo stesso tempo, incoraggia la creazione di “reti”, veri e propri network di professionisti oncologi, medici della riproduzione, ematologi, radiologi, pediatri, psicologi, infermieri, ostetriche, medici di medicina generale, associazioni di pazienti, e tutti i diversi caregiver che devono prendersi cura dei pazienti oncologici, garantendo loro la migliore possibile qualità di vita, una volta superata la malattia”.
L’ISS si impegna nella formazione e nella raccolta di dati su tutte le tecniche a disposizione e collabora con numerose associazioni di pazienti, tra le quali l’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), che da anni porta all’attenzione della stampa la tutela della fertilità, diritto troppo spesso negato alle donne e agli uomini che si ammalano di tumore. “Da sempre – ha detto l’avv. Elisabetta Iannelli, vice presidente AIMaC – il volontariato oncologico sostiene con forza il diritto alla maternità e alla paternità poiché anche solo la speranza di poter diventare genitori, nonostante una diagnosi di cancro, costituisce speranza di vita. È fondamentale affrontare il tema della preservazione della fertilità immediatamente dopo la diagnosi di tumore e prima di iniziare le terapie”.
Con la vitrificazione degli ovociti è possibile crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica per usarli successivamente, quando la paziente deciderà, con le stesse possibilità di successo presenti al momento della vitrificazione. Vista l’assenza di formazione di cristalli di ghiaccio che questa tecnica permette, i tassi di sopravvivenza degli ovociti sono elevati e permettono quindi di posticipare la maternità con ragionevoli garanzie.
Grazie alla crioconservazione del tessuto ovarico (tecnica in fase sperimentale, rivolta alle pazienti con funzione ovarica a rischio oppure in predicato di subire ripetuti interventi chirurgici dell’ovaio tipo endometriosi), è invece possibile ripristinare la funzione ovarica, consentendo di ottenere parti spontanei, riportando, inoltre, i livelli ormonali a valori normali ed evitando gli effetti secondari tipici della menopausa precoce. Questo tipo di procedura è sicura in tutti i tipi di tumore tranne che per le leucemie, dove è presente un rischio elevato di trasferimento di cellule maligne a partire dalla corteccia ovarica preventivamente criopreservata.

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