I ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto oggi a Manama hanno dato la loro disponibilita’ ad iniziare colloqui con il Qatar basta che ci sia la volonta’ a bloccare i finanziamenti e il sostegno al terrorismo. Nella conferenza stampa congiunta organizzata al termine della riunione con al centro la lotta al terrorismo e la crisi con il Qatar, i ministri dei quattro paesi arabi e del Golfo hanno sottolineato tuttavia che al momento non vi sono ragioni per essere “ottimisti” su una risoluzione in tempi brevi della crisi con Doha a causa del comportamento dei qatarini. “I quattro paesi confermano che tutte le misure adottate fanno parte del dovere di sovranita’ e sono in linea con il diritto internazionale”, ha dichiarato il ministro degli esteri del Bahrein Sheikh Khalid Bin Ahmad al Khalifa. I ministri dei quattro paesi hanno confermato la loro risolutezza a pretendere il rispetto da parte del Qatar delle richieste inviate nelle scorse settimane che includono la chiusura dei rapporti con l’Iran e la chiusura dell’emittente televisiva pan-araba “al Jazeera”. Nella riunione di oggi a Manama i quattro paesi boicottatori hanno confermato che il Qatar ha fornito in questi anni un rifugio sicuro per i terroristi, invitando nuovamente Doha a soddisfare le 13 richieste. Durante l’incontro i quattro paesi arabi e del Golfo hanno condannato anche la politicizzazione del pellegrinaggio dell’Hajj da parte di Doha. Parlando ai giornalisti, il ministro degli Esteri saudita, Adel al Jubeir, ha dichiarato che Riad non risparmiera’ alcun sforzo per rendere possibile la partecipazione dei pellegrini del Qatar ai riti dell’Hajj.
Gia’ lo scorso 5 giugno i quattro paesi arabi hanno annunciato la rottura dei rapporti diplomatici con Doha, ritirando i propri ambasciatori. La mossa ha visto anche la chiusura dello spazio aereo, che per i paesi del Golfo ha implicato l’interdizione delle acque territoriali. Riad ha inoltre chiuso il proprio confine terrestre con il Qatar impedendo di fatto qualsiasi transito di merci. Alle misure hanno aderito finora tra gli altri anche Eritrea, Mauritania, Maldive, Senegal, il governo yemenita del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e l’esecutivo libico non riconosciuto di Al Baida. Giordania, Gibuti, Ciad, Niger hanno abbassato il livello delle proprie rappresentanze diplomatiche. Paesi come Iran e Turchia si sono schierati con il Qatar promettendo anche l’invio di derrate alimentari. Lo scorso 23 giugno le autorita’ del Kuwait, che svolgono un ruolo di mediazione, hanno consegnato al Qatar una lista di 13 richieste presentate dai paesi del Golfo per porre fine alla crisi. Tra le richieste avanzate dai paesi per la ripresa delle relazioni diplomatiche col Qatar, che dovevano essere soddisfatte da Doha entro 10 giorni (con scadenza il 3 luglio), vi erano la chiusura dell’emittente televisiva “al Jazeera” e la fine dei rapporti con l’Iran. Una terza richiesta riguardava la chiusura della base militare turca in Qatar e la fine della cooperazione tra Ankara e Doha.
Le autorita’ del Qatar hanno risposto che considerano “irragionevoli” e “ostili” alla sovranita’ nazionale le 13 richieste. La crisi che sta coinvolgendo il Qatar e gli altri paesi della regione potrebbe durare a lungo con gravi rischi, non solo sul piano diplomatico ed economico.
Le tensioni diplomatiche del Qatar con i suoi vicini stanno condizionando,tuttavia, i mercati mondiali a causa dell’instabilità finanziaria tra le economie del Golfo.
La scure diplomatica, voluta da alcuni Stati del Golfo che hanno tagliato i legami con il Qatar su un presunto sostegno al terrorismo, che Doha nega – è stata anche la conseguenza per cui le banche centrali statunitensi ed europee stanno già protendendo per un aumento dei costi dei del denaro e dei prestiti globali.
Qualsiasi rimpatrio dei petrodollari da parte dei Paesi del Golfo potrebbe esasperare i mercati finanziari mondiali.
La preoccupazione deriva dagli sbalzi di valuta del Golfo di lunga data. Il Qatar ha già combattuto per stabilizzare il tasso di cambio fisso del rial verso il dollaro; Gli investitori ora temono che una crisi prolungata potrebbe diffondersi anche in Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Oman.
I governi del Golfo sono certi che dovranno temere la situazione per gli assets sovrani collettivi che si avvicinano a $ 3 trilioni in Kuwait, Arabia Saudita, Qatar.
Ma gran parte di quel “buffer” per fortuna è tenuto all’estero.
Dalle banche italiane alle imprese di lancio della Silicon Valley, alle obbligazioni del Regno Unito e ai grattacieli di Londra, c’è appena una classe di asset mainstream non trattata dalla moneta del Golfo. All’altezza del boom petrolifero intorno al 2006, il “riciclaggio” netto delle eccedenze petrolifere nei mercati mondiali è stato stimato a oltre 500 miliardi di dollari l’anno, gran parte proveniente dall’area del Golfo.
“La stasi del Golfo potrebbe durare anni”, ha dichiarato Abhishek Kumar, specialista del debito emergente con State Street Global Investments. “Possiedono proprietà “prime” in tutto il mondo, oltre a importi non rilevati di beni liquidi – obbligazioni e azioni – quindi se hanno bisogno di vendere, l’impatto si percepirà”.
Tali preoccupazioni sono avvenute nel 2014, quando i prezzi del petrolio hanno causato il primo ritiro netto dei petrodollari dai mercati in 18 anni, secondo una relazione di BNP Paribas.
I paesi del Golfo hanno facilmente risolto gli episodi passati di pressione come durante la crisi di Dubai nel 2009 e nei primi mesi del 2016, quando il prezzo del petrolio arrivò a 27 dollari al barile. Finora, la pressione è stata limitata solo al Qatar.
Le banche del Qatar, le cui riserve esterne da 50 miliardi di dollari in meno di riserve delle banche centrali, potrebbero aver bisogno di ulteriori aiuti se la crisi si prolungherà.
Ma la questione del Qatar è solo un ostacolo per i governi regionali. In prospettiva vi è l’aumento dei prezzi del petrolio, oltre a un aumento del dollaro e del tasso di interesse da parte degli Stati Uniti.
La crisi del Golfo però potrebbe essere mitigato da due fattori.
Innanzitutto, la base patrimoniale di 70 trilioni di dollari per la pensione globale e l’assicurazione continua a crescere, compensando le vendite del Golfo. In secondo luogo, i bassi livelli di indebitamento dovrebbero permettere agli Stati del Golfo di prendere in prestito, piuttosto che vendere.
Il debito sovrano esterno di sei stati del Golfo è già quintuplicato dai livelli del 2009 a circa 150 miliardi di dollari, mostrano i dati di Fitch e probabilmente avranno un futuro di livello nei mercati obbligazionari.
“Se non avessero emesso obbligazioni e accumulato liquidità penso che avremmo visto maggiori problemi e pressioni per i mercati. Hanno diligentemente utilizzato i proventi di queste obbligazioni per colmare il divario”, ha dichiarato Salman Ahmed, analista strategico globale di Lombard Odier.
La questione dovrà essere continuamente attenzionata perché, come visto, ne potrebbero risentire le economie dell’area nel breve periodo, ma a lungo andare l’esigenza di liquidità potrebbe interessare e scuotere anche economie distanti oltreoceano. Anche se piuttosto del pericolo dei terroristi, i Paesi Arabi temono maggiormente la politica filoiraniana e filoturca di Doha.
di Massimiliano D’Elia