(di Francesco Matera) Le migrazioni subsahariane sono strettamente collegate alla crisi in Niger in seguito al colpo di stato del 26 luglio scorso. Il governo italiano è molto preoccupato perché una guerra in Niger potrebbe infiammare il Sahel aumentando in maniera imprevedibile ed incontrollato il flusso di migranti. Il Niger è importante perchè occupa una posizione strategica per quanto riguarda le rotte migratorie, in quanto corridoio di transito privilegiato verso la Libia e piattaforma di proiezione – insieme alla Tunisia – verso l’Italia.
Nei primi sette mesi del 2023, secondo i dati pubblicati dal Ministero dell’Interno, sono arrivati dalla rotta africana 64675 migranti, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 che registrava 30562 arrivi. La reazione del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani su La Stampa è stata eloquente: “Il problema della nuova ondata di immigrati è già una realtà”.
Ogni giorno che passa, se non si raggiunge un accordo più strutturato, la situazione rischia di peggiorare e se in Niger dovesse scoppiare una guerra, sarà un disastro dove a soffrire di pìù sarà la tenuta del sistema di accoglienza italiano.
Il Niger è entrato a pieno titolo nella strategia dell’Unione europea per il controllo dei flussi all’indomani del vertice della Valletta (Malta) del novembre 2015. Dopo l’intervento di Bruxelles, le autorità di Niamey hanno attuato una serie di misure volte a limitare l’accesso di migranti al confine settentrionale con la Libia. Dal 2017 hanno arginato anche il flusso proveniente da Agadez diventata, nel tempo, un crocevia per i migranti che si preparano ad attraversare il Sahara. A tal fine, il principale artefice di questo piano di contenimento, l’allora ministro dell’Interno – un certo Mohamed Bazoum – decise di applicare con la massima severità una legge del 2015 che punisce il traffico illecito di migranti.
A seguito di queste misure, come scrive Le Monde, i cittadini del Senegal, della Costa d’Avorio, del Mali e della Nigeria per raggiungere Agadez hanno dovuto affrontare una serie di incombenze burocratiche il più delle volte in violazione delle norme sulla libera circolazione stabilite dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS).
Il prezzo delle nuove misure volute dall’Ue, poi attuate dal governo nigerino, hanno di fatto contrastato il traffico dei contrabbandieri di confine che costituiva un’importante fonte di reddito per l’intero nord del Niger. L’oasi di Agadez, attraverso la quale nel 2016 sono passati quasi 333.000 migranti diretti in Algeria e in Libia, aveva a lungo prosperato grazie a una vivace economia migratoria. La città di Agadez era la porta d’accesso al deserto sahariano, dove convogli di 4×4 e camion venivano imbracati per l’odissea sahariana. La città pullulava di fornitori di “servizi di migrazione” – criminalizzati durante la notte – che ospitavano, nutrivano, equipaggiavano e trasportavano i migranti.
Nel 2010, la nascita di questa attività legata alla migrazione è arrivata al momento giusto per compensare il crollo del turismo, a seguito delle ribellioni tuareg (1990-1997 e 2007-2009). L’improvviso giro di vite sulle reti di contrabbando ha alimentato le tensioni locali e minato il delicato equilibrio politico ed etnico che aveva permesso a Niamey di placare le richieste irredentiste dei Tuareg. Consapevole del pericolo, il governo ha affidato a Mahamadou Abou Tarka, presidente dell’Alta Autorità per il Consolidamento della Pace il compito di supervisionare la riqualificazione professionale degli ex contrabbandieri – ora chiamati “attori della migrazione” – grazie ai finanziamenti dell’UE. Una missione piena di insidie e frustrazioni, perché i nuovi posti di lavoro non erano facili da trovare e sono risultati poco redditizi rispetto ai compensi derivanti dal traffico dei migranti.
Da qui la resilienza delle reti di trafficanti, che sono ancora attive anche se più discrete. “Il flusso di migranti è diminuito, ma le reti stanno aggirando Agadez“, afferma a Le Monde Amadou Moussa Zaki, magistrato ed ex procuratore di Agadez. Le nuove rotte evitano le strade principali, eccessivamente controllate, che portano ai posti di frontiera di Toummo (in Libia) e Assamakka (al confine con l’Algeria), rispettivamente a 1150 e 418 chilometri da Agadez, e percorrono invece strade sahariane secondarie, impossibili da monitorare.
Questa ridistribuzione delle rotte spiega perché il numero di migranti che raggiungono l’Algeria e la Libia dal Niger ha ricominciato a salire: 8.800 nel febbraio 2023, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), rispetto a una media mensile di 5.400 nel 2017. Certo, siamo ancora lontani dal picco di 2.700 attraversamenti mensili del 2016, ma il rimbalzo c’è, a testimonianza della fragilità dei guadagni ottenuti grazie alle pressioni dell’Ue.
Secondo l’OIM, dal 2014 sono morte o scomparse 5.600 persone che transitavano nel deserto del Sahara. L’insicurezza a cui sono sottoposti i migranti ha assunto una nuova dimensione con la politica di espulsione perseguita dalle autorità di Algeri. Secondo la rete Alarme Phone Sahara, dall’inizio dell’anno hanno rimandato in Niger 2.000 migranti
Mentre la prospettiva di un’operazione militare in Niger per riportare il paese alla guida del presidente eletto Mohamed Bazoum sembra lasciare il posto a una ripresa dei negoziati, i militari al potere a Niamey hanno avuto lunedì un colloquio con l’inviata americana Victoria Nuland. I colloqui sono stati “a volte piuttosto difficili”, ha dichiarato la diplomatica, che non ha potuto incontrare né il capo della giunta né il presidente rovesciato. “La diplomazia è il modo migliore per risolvere la situazione“, ha insistito lunedì il Segretario di Stato americano Antony Blinken. Giovedì si terrà ad Abuja, la capitale nigeriana, una riunione dei capi di Stato della regione.
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