Ai Caraibi a Trinidad e Tobago l’Isis sta arruolando un gran numero di ‘foreign fighters’. Circa 100 su una popolazione complessiva di 1,3 milioni, gli abitanti che hanno lasciato il Paese per trasferirsi 10mila chilometri più a est, nello Stato islamico in Siria o in Iraq. Tanti se si considera che da Canada e Usa sono partiti rispettivamente circa 300 combattenti. Lo rivela il Guardian che racconta come mai così tante uomini, con donne e bambini, abbiano scelto di partire per combattere, e molto spesso morire, per gli estremisti islamici del califfo Abu Bakr al Baghdadi.
Anche se il procuratore generale Faris Al Rawi è convinto che l’isola non abbia un problema specifico di reclutamento o estremismo religioso: “i numeri possono sembrare maggiori rispetto ad altri Paesi”. Le autorita’ hanno deciso di introdurre nuovi controlli su viaggi e finanze per rendere piu’ difficile partire, ma anche tornare. Il timore infatti è che combattenti di ritorno possano radicalizzare una giovane generazione, alla ricerca di comunità e codici di appartenenza. Secondo alcuni esperti, proprio qui starebbe la spiegazione di questa flusso di nuovi ‘jihadisti’ provenienti da Trinidad e Tobago: giovani uomini, recentemente convertiti, sono attratti dalla promessa di denaro e dal senso di comunità, con quello che ne consegue, potere, rispetto e donne. Come in una gang. “Un imam mi ha detto che invece di aderire a una gang locale, alcuni vedono il viaggio in Medio Oriente come l’adesione a un’altra gang”, ha spiegato l’antropologo Dylan Kerrigan, professore all’Universita’ delle Indie Occidentali. C’e’ chi scappa da condanne e anche chi vuole costruirsi una reputazione con un viaggio in una zona di guerra.
A Trinidad e Tobago, i musulmani rappresentano il 10% della popolazione e in maggioranza seguono un Islam moderato. Ma c’è una piccola minoranza che si richiama a un’ideologia estremista e che non ha problemi a difendere le decapitazioni dei jihadisti, respingendo le pretese morali degli occidentali visto che in tempi passati questi non hanno esitato a usare la ghigliottina nella Rivoluzione francese.
Estremismi che sono una minaccia non solo per l’isola stessa ma che preoccupa anche gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali: il Paese ha una fiorente industria internazionale di gas e petrolio e inoltre i cittadini possono viaggiare nei Caraibi senza visto.
Tra coloro che parlano dei combattenti partiti per il Medio Oriente con ammirazione c’e’ Fuad Abu Bakr, figlio di Yasin Abu Bakr, il predicatore che negli anni ’90 ha tentato con un piccolo gruppo di estremisti, Jamaat al Muslimeen, di rovesciare il governo e prendere il potere. Pur avendo preso in ostaggio premier e deputati per diversi giorni, alla fine l’esercito aveva ripreso il controllo e mandato il predicatore in prigione, da dove ne è uscito però dopo un paio di anni grazie ad un’amnistia. Esponente religioso e politico, il figlio Fuad ha ereditato l’estremismo religioso dal padre: parlando dell’Isis ha negato le atrocità commesse dai seguaci di al Baghdadi e la diffusa schiavitù sessuale, paragonando il califfato a Israele e Vaticano. “Vogliono l’indipendenza e lo Stato islamico, e hanno il diritto all’autodeterminazione. Come potete dire a queste persone che non possono avere uno Stato islamico perchè non è uno status politico accettabile? Esiste lo Stato ebraico, uno Stato cattolico”. Parlando di chi è partito, “persone che non sono cattive ma anzi sono alcune delle persone migliori che conosco”, Bakr è arrivato a citare Marthin Luther King, sottolineando di “rispettare qualcuno che è pronto a sacrificare se stesso per il miglioramento dei suoi compagni, ed è questo quello che loro pensano di fare