(di Massimiliano D’Elia) Raggiunto l’accordo sul Recovery Fund tra i 27 rimane però l’incertezza sull’erogazione e sui controlli che potranno essere fatti in futuro. Questi soldi aiuteranno davvero allo sviluppo dei singoli paesi richiedenti? Saremo in grado di utilizzarli in maniera virtuosa per non gravare ulteriormente sulle prossime generazioni?
Leggendo le prime pagine dei quotidiani di oggi già si parla di riduzione delle tasse sul lavoro, rimodulazione dell’Irpef, assegno unico di 200 euro per i figli fino ai 21 anni di età, di assunzioni nella scuola e nella sanità, etc., etc. Provvedimenti sacrosanti ma che richiedono interventi strutturali, quando i 208 miliardi previsti per noi sono “one shot”, ovvero non per sempre e da restituire nel corso degli anni, fino al 2054. Servono alla ricrescita, ovvero per puntellare opere che nel tempo riescano a favorire sviluppo e occupazione e non ad aumentare il nostro già pesante debito pubblico.
Tornando alla giornata di ieri, tutti hanno issato la bandiera della vittoria, la vittoria dell’Europa, della posizione franco-tedesca, della posizione italiana nei confronti dei paesi dell’asse del nord, i cosiddetti frugali. Presto però ci si dovrà confrontare con la realtà che è molto, ma molto diversa. Per spendere i 208 miliardi che la Commissione Ue ha previsto per noi occorrerà presentare il famoso Recovery Plan entro settembre. Un piano che dovrà rispettare di massima le raccomandazioni annuali che la stessa Commissione fa ad ogni Paese entro il mese di marzo (per l’Italia: riforma della giustizia, della scuola, digitalizzazione, del lavoro e investimenti Green). Raccomandazioni non pervenute quest’anno, per cui si dovranno prendere a riferimento quelle dell’anno 2019. La Commissione avrà due mesi di tempo per valutare i Piani nazionali per poi dare la luce verde ai finanziamenti. Il denaro potrebbe arrivare a ridosso della primavera 2021. Ma a preoccupare i governi comunitari sono le nuove forme di controllo da parte della maggioranza qualificata dei 27. Il Sole24Ore parla di altri tue temi spinosi e controversi. Il primo riguarda l’esborso del denaro proveniente dal Fondo per la ripresa, ossia il nuovo strumento finanziario che permetterà alla Commissione europea di raccogliere 750 miliardi di euro sui mercati finanziari. Il secondo aspetto è legato alta scelta di condizionare la distribuzione di fondi europei al rispetto dello Stato di diritto.
Per i i finanziamenti, gli stessi, potranno essere fatti solo dopo aver sentito gli altri governi rappresentati in Commissione. In caso di un consenso non unanime potrà intervenire il Consiglio europeo ma, specifica il testo dell’accordo,”…. nessuna decisione della Commissione in merito al soddisfacente raggiungimento degli obiettivi intermedi e finali corrispondenti e all’approvazione dei pagamenti sarà presa fino a quando il prossimo Consiglio europeo non avrà discusso della questione in modo esauriente….”.
Il punto è: il Consiglio dovrà intervenire o potrà intervenire? E per di più non viene specificato se il Consiglio europeo è obbligato a prendere le decisioni per il consenso definitivo. Ovvero se in Commissione non c’è unanimità nel concedere un finanziamento, non è chiaro a chi spetta l’ultima parola. Per questo motivo, specifica il Sole24Ore, l’Italia ha ottenuto un parere del servizio giuridico del Consiglio nel quale si afferma che le conclusioni del summit di questo fine settimana non mettono in dubbio il potere ultimo della Commissione, ex articolo 17 dei Trattati, nel convalidare e autorizzare i pagamenti.
Per quanto riguarda lo stato di diritto sul controllo a frodi e irregolarità viene demandato alle autorità nazionali già coinvolte, a cui si può aggiungere la Corte dei Conti europea. Su questo punto si è deciso di non approfondire lasciando al futuro il perfezionamento delle procedure a seconda degli eventi che di volta in volta si presenteranno.
I trionfalismi di ieri dovranno quindi confrontarsi con una realtà diversa, piena di insidie, una realtà dove alcune norme essenziali sono state lasciate “fumose”, non concordate perchè scomode e perchè avrebbero potuto portare il vertice ad una “conclusione” non felice, decretando inequivocabilmente la fine del sogno europeo.
L’unico aspetto positivo è stata l’unità italiana tra maggioranza e opposizione nel sostenere l’azione di Governo guidata dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte che non ha mai abbassato la guardia. Ha difeso con i denti la “dignità” dell’Italia. Le critiche e i dubbi venuti fuori al termine del vertice sono normali alla luce dei risultati portati a casa perchè, come visto, sono tanti gli interrogativi a cui oggi nessuno riesce a dare una risposta esauriente.