Il decreto più atteso (reddito e pensione di cittadinanza e “quota 100”) è pronto per essere esaminato in pre-consiglio martedì 8 gennaio per poi andare nell’ordine del giorno del primo Consiglio dei Ministri utile. Il provvedimento avrà i suoi effetti a partire dal 1° aprile e si compone di due titoli e 27 articoli per una spesa sociale di circa 8,8 miliardi nel 2019, che salirà a oltre 37 nel primo triennio. Secondo le stime ufficiali sarebbero circa 320mila i lavoratori interessati a “quota 100” mentre i nuclei familiari in condizioni di povertà per il reddito di cittadinanza sarebbero circa un milione e 400mila. Molto sarà il lavoro del premier Giuseppe Conte per convincere la Commissione Ue al tagliando di gennaio della bontà del provvedimento e degli effetti positivi sull’economia italiana.
Il reddito di cittadinanza diventerà, quindi, un diritto sia per i cittadini italiani in condizione di povertà, che dai comunitari e dagli extracomunitari residenti in via continuativa in Italia da almeno 10 anni. Mentre la pensione di cittadinanza verrà riconosciuta agli over 65 anni con un reddito familiare non superiore ai 7.560 euro, che salgono a 9.360 per chi vive in affitto. Reddito e pensione di cittadinanza verrebbero erogati per il 53% al Sud, scrive Il Sole24Ore.
I requisiti per quota 100 sono i 42 anni e 10 mesi per tutti (41 e 10 per le donne) e i 41 anni per i lavoratori precoci. Ma anche per loro, come per i quotisti scatta un posticipo di 3 mesi determinato dalla finestra mobile. “Quota 100” sarà successivamente adeguato alla speranza di vita e chi ne beneficerà non potrà cumulare la pensione con altri redditi da lavoro superiori ai 5mila euro l’anno. Le nuove anzianità saranno accompagnate da una doppia agevolazione fiscale, la cosiddetta “pace contributiva”, che consentirà di colmare eventuali vuoti nei versamenti Inps ma solo dal 1° gennaio 1996 e fino a 5 anni facendo leva su un meccanismo di rateazione, con un massimo di 60 versamenti mensili di importo non inferiore ai 30 euro, senza interessi ne sanzioni.
Il primo bonus fiscale è rappresentato dalla possibilità per il lavoratore di detrarre ai fini Irpef il 5o%del versamento relativo al “riscatto” contributivo.
La seconda agevolazione fiscale è prevista invece per le imprese. Che potranno sostenere l’onere del “riscatto” destinando a questo fine i premi di produttività spettanti al lavoratore. Una possibilità, quindi, e non un obbligo per la quale scatterebbe la deducibilità dal reddito d’impresa delle somme utilizzate per colmare i “buchi” contributivi del lavoratore. Per innescare la staffetta generazionale le aziende potranno poi finanziare con i Fondi bilaterali l’uscita anticipata fino a tre anni prima dei “quotisti”, quindi attivare scivoli per esodi anticipati a chi ha oggi 59 anni e 35 di contributi, a patto però che assumano almeno un nuovo addetto per ogni lavoratore in uscita.
Pochi i dipendenti pubblici che potranno approfittare della prima finestra di quota 100 a loro disposizione in partenza il 1° luglio 2019. Il decreto parla chiaro: per utilizzare questa finestra occorrerà infatti aver maturato i requisiti entro il prossimo 31 marzo e aver presentato la domanda di pensionamento anticipato all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi. Un vincolo quest’ultimo che sarà stringente per tutte le uscite.
Gli statali che varcheranno le soglie anagrafiche e contributive per quota 100 dopo il 1° aprile dovranno invece attendere fino a ottobre 2019 per usufruire del trattamento anticipato.
Gli statali per avere subito il Tfs/Tfr e non dopo circa due anni, potranno chiedere un anticipo bancario chiamato prestito-ponte, garantito dallo Stato con una convenzione con l’Abi. In sostanza si imporranno alle banche gli stessi tassi di interesse che dovrà, tuttavia, a quanto pare pagare solo il lavoratore su un diritto acquisito.