La Stampa riporta l’idea dei gialloverdi di utilizzare una parte delle riserve auree per coprire il disavanzo della spesa pubblica al fine di evitare una manovra correttiva e l’aumento dell’Iva, nella legge di Bilancio del prossimo anno.
L’idea parte da un post nel Blog personale di Beppe Grillo e da una legge firmata dall’economista no-euro, presidente della commissione Bilancio della Camera in quota Lega, Claudio Borghi. Entrambi sono finiti sulla scrivania del governatore e del direttore generale di Bankitalia.
Dalle tabelle dei due documenti si evince che la Banca d’Italia è la terza detentrice di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense e la Bundesbank tedesca, quarta, se si considera anche il Fondo monetario internazionale.
Gli altri Paesi europei, tuona il post di Grillo, hanno venduto dal 20% al 60% del loro oro. E l’Italia? «Non ha venduto nemmeno un grammo di metallo prezioso. Perché?». Potrebbe farlo, continua l’articolo, «nel corso di un eventuale CBGA giunto alla quinta edizione (è il Central Bank Gold Agreement, che disciplina la vendita dell’oro delle banche centrali, di durata quinquennale), che potrebbe partire già dal quarto trimestre del 2019 sulla base del prezzo di mercato odierno di 33,34 Euro/ grammo». Una scadenza con un tempismo perfetto. Perché darebbe una mano in vista della prossima manovra.
«Sarebbe una misura una tantum quinquennale ma che potrebbe permetterci di tirare il fiato e fornire una copertura extra budget senza sforare gli stringenti parametri comunitari.
Purtroppo la realtà sulle risorse auree italiane e molto diversa, a quanto pare è davvero inutilizzabile.
Nel 2014 si contavano esattamente 2.451,80 tonnellate d’oro nelle casse della Banca d’Italia, quantità che pone il nostro paese, come detto, nelle primissime posizioni fra i detentori d’oro a livello mondiale.
Così Alberto Angela nel 2010, autore di una testimonianza video dei forzieri di Palazzo Koch a Roma:
“Dalle riserve auree dipende la capacità dell’Italia di fornire garanzie ai propri partner commerciali e di richiedere prestiti impegnandole nei momenti di difficoltà. L’oro d’Italia rappresenta simbolicamente la ricchezza del Paese: sono i nostri gioielli di famiglia.”
A comporre le nostre riserve, un insieme di lingotti d’oro puro – detti verghe– di varie forme e pesi (95.493 pezzi, dai 4,2 ai 19,7 chilogrammi e contenuto di oro > 99%) e di monete d’oro (871.000 pezzi) provenienti da varie parti del mondo e risalenti ad epoche diverse. Nel video girato da Angela, ad esempio, si intravvedono lingotti provenienti da Inghilterra, Russia, Stati Uniti e ne viene preso in esame uno addirittura risalente alla Seconda Guerra Mondiale: su di esso, una svastica nazista. Come avvenuto per la maggioranza delle banche centrali europee, il più delle riserve auree italiane, è stato accumulato tra la fine degli anni ’50 ed i ’60 sotto il sistema di Bretton Woods: l’incremento di produttività, l’inflazione del biglietto verde e la completa convertibilità del dollaro in oro in ambito internazionale, invogliò e permise alle emergenti economie europee, guidate dalla Francia di De Gaulle, di scambiare ingenti quantità d’oro con la FED. Per frenare l’emorragia di oro dalle casse statunitensi, nel 1971 Nixon decretò la fine di Bretton Woods inaugurando l’epoca delle valute fiat a corso forzoso i cui cambi sarebbero stati determinati, come avviene ancora oggi, dai soli partecipanti al Forex. Secondo quanto riportato da Angela, poi confermato nella documentazione del 2014, l’oro italiano non è collocato interamente a Roma, nelle casseforti della sede della Banca d’Italia (Palazzo Koch). I rimanenti lingotti che compongono le nostre riserve auree sono dislocati in altri tre luoghi, posti al di fuori del territorio nazionale italiano: Berna, Londra e New York.
Nella sua dettagliata relazione, la Banca d’Italia ha rivelato che solo il 48% delle riserve auree (1.195 tonnellate) sono stipate nella Sagrestia Oro di Palazzo Koch, poiché l’altro 52% (1.254 tonnellate) è immagazzinato presso i depositi di Federal Reserve, Bank of England e Banca per i Regolamenti Internazionali.
La Banca d’Italia, però, non specifica l’esatta ripartizione dell’oro italiano fra i tre soggetti esteri: prendendo per buone alcune congetture sparse per la rete, la stragrande maggioranza dei lingotti detenuti all’estero si trovano nella sede della FED (si parla addirittura di 1.200 tonnellate), con sole 7-12 tonnellate conservate nella Banca d’Inghilterra e le rimanenti 35-47 in quella di Berna.
Nell’alimentare le voci che vi siano ben 1.200 tonnellate d’oro italiano in quel di New York, c’è un precedente storico: negli anni ’70 il Governo richiese alla Germania un prestito che, su richiesta tedesca, venne garantito da un’equivalente somma di oro: la Banca d’Italia ordinò che ben 543 tonnellate d’oro italico custodite presso la FED, venissero impegnate a garanzia di restituzione del prestito.
Il debito venne ripagato in toto e le riserve disimpegnate; da allora, purtroppo, dell’oro custodito oltreoceano non è più stata data notizia certa.
Di certo c’è, però, che una parte delle 1.195 tonnellate custodite a Roma non sono nelle disponibilità della Banca d’Italia: ai sensi dell’art. 30 dello Statuto del Sistema Europeo delle Banche Centrali di cui la Banca d’Italia fa parte, 141 tonnellate di oro custodite nella Sagrestia di Palazzo Koch sono virtualmente bloccate.
Questo perché la Banca Centrale Europea ha sì delle proprie riserve monetarie, ma queste sono state composte a partire dalle risorse messe a disposizione dai vari paesi aderenti all’Unione Monetaria: il 15% di questi contributi dovuti da ogni paese utilizzatore dell’euro, secondo il già citato statuto, dovevano essere corrisposti in oro: per l’Italia quel 15% corrispondeva esattamente a 141 tonnellate.
Inoltre, nonostante la Banca d’Italia abbia ormai da anni una sede stabile in quel di Manhattan, l’istituto non ha mai ritenuto opportuno verificare con mano l’effettiva presenza e la situazione giuridica dell’oroc ustodito su suolo statunitense: la banca centrale italiana, difatti, si affida a degli auditing condotti da revisori esterni che, pare, non abbiano accesso alle riserve detenute oltre confine.
Sono infatti le banche centrali estere presso cui l’oro italiano è detenuto, ad inviare dei report di notifica a Roma con cadenza annuale.
Eh sì, oltre alla quantità e al luogo geografico in cui si trova l’oro, c’è una terza domanda da porsi, forse la più importante di tutte:
Qual è la situazione giuridica dell’oro italiano?
Viene dato in leasing? Viene utilizzato come collaterale per prestiti istituzionali? In che percentuale? Ebbene, non c’è molto da riportare a questo proposito, perché la risposta pervenuta a Ronan Manly, operatore professionale in oro di Singapore, direttamente dagli uffici di Palazzo Koch non lascia spazio ad incomprensioni:
<< La presente è per informarla che, sfortunatamente, Banca d’Italia non fornirà informazioni aggiuntive [riguardo la situazione giuridica delle riserve estere] oltre a quelle già rilasciate sul suo sito istituzionale. >>(Press and External Relations Division, Bank of Italy)
Se la ricerca di informazioni riguardo possibili prestiti o leasing dell’oro italiano è ostacolata dalla banca stessa, non ci rimane altro che andare dritti al cuore del problema: la privatizzazione dell’Istituto.
Al contrario di quanto avviene per la maggioranza delle Banche centrali, infatti, la Banca d’Italia è un ente privato di diritto pubblico.
Nel 2014 il Governo approvò il decreto IMU-Bankitalia, norma con cui la privatizzazione e la ricapitalizzazione della banca centrale italiana divenne realtà.
A testimoniarlo, il video dei tre senatori del M5S che ebbero l’opportunità di visitare le riserve auree di Roma nello stesso anno e che, a conclusione del video, toccarono proprio quest’argomento.
Non voglio continuare a tenerti sulle spine, perciò la faccio breve: dire che l’oro di Palazzo Koch è oro italiano (per inciso, del popolo italiano) è un puro eufemismo.
Quelle 2.450 tonnellate, o quanto in realtà esse siano, non sono di proprietà dello Stato (e di riflesso, di noi cittadini) né degli azionisti privati della Banca d’Italia che sulle riserve non possono vantare alcun diritto.
Al contrario di quanto riportato negli statuti delle altre banche centrali europee, le quali detengono e gestiscono le riserve auree per conto dei loro governi, il sito della banca centrale italiana recita (senza dare troppe spiegazioni):
<< La proprietà delle riserve auree ufficiali è assegnata per legge alla Banca d’Italia>>
Esso è intoccabile ed inutilizzabile, a detta di quanto riportato dall’onorevole Vacciano uno dei senatori ammessi a visitare la Sagrestia Oro, e pertanto le ipotesi di vendita o di utilizzo a garanzia di prestiti pubblici sono semplici speculazioni inattuabili.