Duecento militari, 20 mezzi terrestri, 6 elicotteri (quattro Mangusta). L’Italia è così pronta a rafforzare la sua presenza in Sahel, entrando a pieno titolo nella Task Force Takuba, che sarà operativa entro l’estate. La missione sarà quella di supportare le forze di sicurezza locali nel contrasto ai crescenti fenomeni di matrice jihadista nella zona tra i confini di Niger, Mali e Burkina Faso. La conferma arriva dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, di ritorno da una missione in Africa, durante la quale si è recato in Mali e in Niger per una serie di incontri istituzionali e per salutare il personale militare italiano impiegato nell’ambito di missioni bilaterali, sotto l’egida Ue e Onu. “L’Italia intende rafforzare la sua presenza in Sahel – ha spiegato il ministro -, un’area caratterizzata dalla presenza di gruppi terroristici, che si sostengono economicamente attraverso la gestione di traffici illeciti di ogni genere: droga, armi, esseri umani, diretti soprattutto verso l’Europa. La sua stabilità è quindi determinante non solo per la sicurezza della regione, ma per gli immediati riverberi sulla sicurezza della stessa Europa“. Al Niger, l’Italia fornirà componenti militari e giubbotti antiproiettile. Obiettivo politico è affermare una maggiore presenza in quel territorio, anche per svincolarsi dagli interessi e dall’influenza francese.

COSA ANDIAMO A FARE NEL SAHEL

Su La Stampa Domenico Quirico ha spiegato, senza peli sulla lingua, il pantano del Sahel, una zona del mondo dove gli eserciti regolari hanno fallito e dove le milizie terroristiche hanno maggiore presa sulla gente locale, un po come è avvenuto in Afghanistan dopo 20 anni di guerra pressocchè inutile, considerati i risultati lasciati sul campo a favore della popolazione civile. L’Italia si appresta quindi ad inviare un contingente militare che dovrebbe operare nella micidiale “zona delle tre frontiere” in supporto dei 5.000 soldati francesi e di regimi in rapida decomposizione Dovremo collaborare, spiega Quirico, con eserciti come quello maliano che i rapporti delle Nazioni Unite appellano come una feccia vandalica responsabile di massacri tra le popolazioni che, invece, dovrebbero difendere. 

I governi alleati, Mali e Burkina Faso, stanno trattando neppur troppo di nascosto, con le formazioni jihadiste compresi il “Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani” Gsim, legato ad Al Qaeda, e lo “Stato islamico del grande Sahara”. Ci sono zone del Sahel dove sono in vigore tregue di fatto tra jihadisti e eserciti locali e che uomini e mezzi dei gruppi islamisti circolano liberamente in villaggi, piste e città in cambio di sospensione degli attacchi. Insomma stiamo li per aiutare i francesi in un pantano da dove è impossibile uscirne se non con qualche morto italiano in dote. Probabilmente la strategia italiana è quella di insediarsi in quella zona per cercare di gestire il flusso dei migranti verso il nostro Paese, considerata la Libia ormai territorio turco-russo. Non è un caso che la Francia abbia solo ora rilasciato i 7 terroristi rossi che vivevano in tutta tranquillità da anni oltralpe. Una riconoscenza concessa all’Italia per essersi buttata ad occhi chiusi nell’inferno del Sahel.

II bilancio della missione francese . Dieci anni di guerra francese al terrorismo sono stati disastrosi. Da un lato la mobilitazione massiccia di forze militari ha comportato costi enormi, 2 miliardi di euro all’anno, dall’altro duemila cinquecento morti in Mali, Burkina Faso e Niger nel solo 2020, due milioni di profughi, i gruppi jihadisti che controllano vaste aree, moltiplicano con accorta strategia le lotte tra le comunità, avanzano in direzione del golfo di Guinea. I massacri si moltiplicano e restano impuniti, in cui i civili sono uccisi più dai militari che dai jihadisti. Di recente vi è anche una campagna informativa molto forte contro la presenza francese dopo la morte di 19 civili innocenti a Bounti in Mali per un errore dell’aviazione francese. 

Nel vertice con i 5 governi del Sahel Macron ha assicurato che la presenza militare francese non diminuirà, aggiungendo però una parolina: «nell’immediato». Ha poi parlato di «sahelizzare» la guerra. 

L’ANALISI DEL GENERALE PASQUALE PREZIOSA

La situazione del Mali risulta ricalcare quella dell’Afghanistan all’inizio della “Global war on Terrorism”. Alcuni analisti hanno definito il Mali il “nuovo Afghanistan” dell’Africa.Circolano informazioni per una nuova operazione europea denominata “Takuba” per il contrasto delle cellule jihadiste nella regione del Sahel, Mali compreso, nel solco dell’operazione Barkhane già in atto. La Germania e la Spagna non hanno aderito all’invito, mentre l’Italia sembrerebbe disposta all’impiego delle forze speciali, si dice per il mentoring, in comunione con quelle francesi, promotrici dell’iniziativa. La zona di operazioni viene definita dagli analisti di settore “epicentro del Jihad globale”.

Peraltro, per il contrasto del iihadismo sono ancora in corso in alcune aree dell’Iraq e della Siria, operazioni militari da parte di una grande coalizione con molte potenze coinvolte i cui risultati non appaiono né certi né ancora definitivi. L’apertura ora di un‘altra operazione di contrasto al Jihadismo con la partecipazione di un numero di Paesi e di forze minimali fa sorgere alcuni dubbi sulla efficacia della strategia globale per combattere il fenomeno terroristico.

L’Italia, in particolare, dovrebbe interrogarsi, dopo l’Afghanistan e con la pandemia ancora in corso, sulle linee da seguire per garantire livelli di Sicurezza nazionale adeguati al nuovo quadro mondiale che vede una competizione strategica molto impegnativa per vincere il futuro. La stabilizzazione del quadro internazionale non sarà priva di sorprese. È necessario ricorrere alla storia e ai suoi agli insegnamenti, soprattutto quelli ereditati dall’antico Impero romano per le minacce provenienti da Sud. La sicurezza dell’Impero fu ottenuta rafforzando i Paesi del Nord-Africa e non disperdendo gli sforzi in zone di poco interesse commerciale o strategico.

La Libia, la Tunisia e l’Algeria, solo per citarne alcuni, sono i paesi di interesse strategico per la sicurezza non solo dell’Italia ma per l’intera Europa. Le operazioni militari, anche se di pace hanno costi molto elevati, anche per i Paesi del G7 che dopo la pandemia hanno dovuto innalzare il debito pubblico a livelli mai visti prima. Le operazioni militari hanno costi certi, ma ritorni incerti. Il Malirappresenta il nuovo “pantano di guai” nel quale non infilarsi per non lasciare in eredità alle prossime generazioni non solo un grosso debito finanziario, ma anche un debito strategico in politica estera.

Sahel: l’Italia entra nell’operazione Takuba, in estate altri 200 militari, 20 mezzi e 6 elicotteri