Santa Sede e Cina ai ferri corti

L’accerchiamento della Chiesa cattolica da parte del regime comunista continua con nuovi metodi. L’approfondimento è stato fatto dal giornale spagnolo l’Avanguardia, dopo gli ultimi avvenimenti e le nuove nomine episcopali.

Nei rapporti con il regime comunista cinese, la Santa Sede cammina sempre in punta di piedi sul filo del rasoio. Il missionario gesuita italiano Matteo Ricci (1552-1610) riuscì, con molta difficoltà, ad entrare in contatto con la sensibilità cinese per divulgare il messaggio cristiano. Da quando Mao Zedong ruppe le relazioni diplomatiche con il Vaticano nel 1951, due anni dopo la rivoluzione comunista, il cattolicesimo in Cina è stato stroncato in due: l’Associazione patriottica cattolica, obbediente al Partito comunista e con vescovi nominati dal governo, e la Chiesa cattolica fedele al Papa, ostacolata, però, dalle autorità.

Si stima che il numero dei cattolici cinesi oscilli tra i 6 ei 12 milioni, sommando entrambe le comunità. Un barlume di speranza è stato l’accordo bilaterale firmato nel 2018 e rinnovato due volte, nel 2020 e nell’ottobre di quest’anno per la nomina consensuale dei vescovi.
L’equilibrio aveva funzionato fino a quando un episodio alla fine di novembre ha rimescolato le carte in tavola con la nomina di John Peng Weizhao, 56 anni, a vescovo ausiliare di Jiangxi, una diocesi cinese non riconosciuta dalla Santa Sede. Ciò, ha provocato una dichiarazione insolitamente dura da parte di Roma. Questo fatto non è avvenuto con lo spirito di dialogo esistente tra il Vaticano e la parte cinese, né con quanto stipulato nell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi del 22 settembre 2018, dice il testo vaticano, che parla anche di “sorpresa” e “rimpianto” per la decisione unilaterale della Cina.

John Peng Weizhao, sacerdote dal 1989, ha ricevuto l’ordinazione episcopale nell’aprile 2014 in segreto, per ordine di Papa Francesco, come vescovo titolare della storica diocesi di Yujiang. Fu imprigionato nel giro di poche settimane e rilasciato sei mesi dopo. Il suo predecessore aveva trascorso 23 anni in prigione. Ora, Peng è diventato ausiliare di una diocesi non canonica, Jiangxi – questo il nome della
provincia cinese – “dopo lunghe e pesanti pressioni delle autorità locali”, afferma la Santa Sede.

Al suo insediamento a Nanchang, capoluogo di provincia, John Peng Weizhao ha promesso di “aderire al principio delle chiese indipendenti e autonome” e di “guidare attivamente il cattolicesimo ad adattarsi alla società socialista”.
Da quando Xi Jinping è diventato presidente della Cina nel 2013, la timida apertura alla religione degli anni immediatamente precedenti ha iniziato a scemare. Xi vuole una sinizzazione delle religioni intesa come massimo adeguamento alle linee guida dell’autorità comunista e rifiuto di ogni coinvolgimento straniero. È quindi inaccettabile, secondo il suo pensiero, che un altro Paese – il Vaticano – controlli i vescovi in territorio cinese.

L’agenzia di stampa AsiaNews del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME), preziosa fonte di informazioni sulla Chiesa cattolica in Asia, chiarisce il senso dell’operazione.

Monsignor Peng Weizhao diventa vescovo ausiliare della diocesi di Jiangxi

La nomina è importante, poiché la diocesi che gli era stata assegnata da Francesco era Yujiang, un distretto ecclesiastico che esisteva dal 1885 e dove i missionari lazzaristi avevano esercitato il loro ministero prima della rivoluzione comunista. Sono quindi le autorità cinesi, senza alcun accordo con la Santa Sede, ad aver deciso di unire in un’unica diocesi i cinque distretti ecclesiastici tradizionalmente legati alla metropoli di Nanchang”, spiega AsiaNews.
Il titolare della nuova diocesi, John Baptist Li Suguang, è un vescovo patriottico e Peng sarà il suo ausiliare, un modo per assorbire il clero fedele al Papa. Lo scontro con la Santa Sede è quindi aperto e riserverà non poche soprese.

Santa Sede e Cina ai ferri corti

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