(di Giuseppe Paccione) Da un mese e oltre, la comunità internazionale sta assistendo al capovolgimento dello status quo dell’ordinamento giuridico internazionale dall’inizio dell’invasione delle truppe russe, che hanno sconfinato le frontiere dell’Ucraina, Stato sovrano, indipendente e membro delle Nazioni Unite. Chiaramente, non è mancata l’ampia condanna degli Stati e delle Organizzazioni internazionali alla condotta d’aggressione russa e delle preoccupazioni attorno al meccanismo della Carta onusiana che pare non aver funzionato, fallendo l’obiettivo primario consistente nel salvare le future generazioni dal flagello della guerra. La risposta dell’intera famiglia umana, costituita dalle nazioni che interagiscono nella vita sociale internazionale, è stata quella di supportare indirettamente l’Ucraina vittima dell’aggressione della Russia.
I paesi occidentali, difatti, volendo evitare un confronto manu militari diretto con la Russia che potrebbe condurre a conseguenze inimmaginabili sino a ricorrere a strumenti di distruzione di massa, e l’organo politico onusiano, bloccato dal potere del diritto di veto russo, hanno dovuto ricorrere allo strumento delle sanzioni economiche, dei controlli sulle esportazioni e dell’assistenza di approvvigionamenti di armamenti. La comunità internazionale, nel contempo, ha risposto al Cremlino con l’invito a imparare a conoscere la parola riparazione, indicando che ci sarà un costo da pagare per aver violato la sovranità territoriale dell’Ucraina e la violenza esercitata sul suo popolo Inoltre, Kiev ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia (aspetto interessante sul tema di cui si sta trattando) la richiesta di misure cautelari sulla manipolazione del governo russo del concetto di genocidio per celare e giustificare la sua aggressione. Infatti, i giudici dell’organo giudiziario internazionale hanno, poi, chiesto alle autorità del Cremlino di sospendere le sue operazioni militari, tuttavia, sempre la stessa Corte, si è astenuta nel dare delle risposte alle richieste delle autorità ucraine di risarcimento integrale dei danni di guerra. Di conseguenza, attraverso colloqui di pace russi-ucraini post conflitto bellico, le sanzioni possono essere correlate alle riparazioni, come strumenti per riequilibrare e normalizzare le relazioni alla fine delle ostilità e la portata del vincolo di una restitutio in integrum o restitutio in pristinum, costituente la situazione di fatto esistente prima della commissione aggressiva armata, che costituisce ovviamente la naturale forma di riparazione.
Il fine delle sanzioni o contromisure di tipo economico, commerciale, come pure morale, consiste nel censurare gli illeciti internazionali e ottenere delle conseguenze per il trasgressore. Dal momento dell’applicazione delle sanzioni contro Mosca, si sta assistendo ad una reazione contro il popolo russo. Mentre le sanzioni, imposte da molti Stati occidentali e dalla stessa UE (quest’ultima ha adottato altri pacchetti sanzionatori nei confronti della Russia) continuano ad aumentare, ad esempio, con il divieto delle imbarcazioni di oligarchi sostenitori di Putin dal mare territoriale inglese e canadese, gli Stati Uniti hanno avanzato delle proposte per liquidare i beni sequestrati della classe oligarchica legate al governo autarchico putiniano e investirli in aiuti umanitari a favore degli ucraini, anche su tale sequestro dei beni di russi a favore degli ucraini solleva qualche interrogativo sostanziale, come la discutibilità sulla legalità della dismissione dei beni di uomini d’affari russi e società russe senza un processo in cui possano avere il diritto di sostenere che tra loro e la decisione di Putin di invadere l’Ucraina non vi sarebbe alcun legame. Una cosa è il sequestro o il congelamento beni soggetti a sanzioni unilaterali o comunitarie, ma potrebbe costituire una violazione dei diritti di proprietà nella liquidazione o alienazione di beni a fini riparatori. Secondo le norme anticorruzione e antiterrorismo, i beni di coloro che sono stati oggetto di tali sanzioni possano essere divisi con lo scopo di essere usati a favore delle vittime colpite, laddove vi sia una decisione giudiziaria contro di loro. Processo che potrebbe comportare un lasso di tempo, richiedendo ai titolari di beni sequestrati di dimostrare che i loro possedimenti non hanno nulla a che vedere con proventi illeciti. Ora, sia le sanzioni che la restitutio in integrum possono rispecchiare l’egemonia delle relazioni che potrebbero portare al risarcimento come una misura utile per alleviare le sanzioni una volta cessata la violazione continua, nel tentativo di rimediare alla violazione. Nel caso della Russia, che ha invaso lo Stato ucraino, anche nel caso in cui si giungesse a un trattato di pace, le sanzioni potrebbe persistere. È qui che le riparazioni per aggressione possono dare un segnale allo sforzo di riparare il danno cagionato da una violazione talmente eclatante del diritto internazionale, che dovrebbe essere parte dei negoziati e delle sanzioni.
La restitutio in integrum o reintegrazione nella situazione preesistente per l’invasione di uno Stato nei riguardi di un altro Stato riporta alla mente il Trattato di Versailles e le clausole di colpevolezza che imponevano alla Germania la responsabilità del costo complessivo della prima guerra mondiale, imposizione delle riparazioni che gettò il seme dell’ascesa del nazismo, guidato da Hitler, e lo scoppio del secondo conflitto mondiale, rifiutandosi di pagarne una parte. Le riparazioni cagionate dalla condotta aggressiva dipendono da chi ottiene la vittoria assoluta di una Parte, l’insediamento o la cessazione delle ostilità. La prassi dello Stato aggressore che risarciva lo Stato aggredito è ricca, come non menzionare, ad esempio, l’invasione dell’Uganda e del Burundi da parte delle truppe tanzanite negli anni settanta del secolo scorso, che ha dovuto pagare la compensazione; così pure l’intervento del Consiglio di Sicurezza che chiese il risarcimento a Israele per aver bombardato l’integrità territoriale della Tunisia nella metà degli anni ottanta del XX secolo e via discorrendo. Ma potrebbe anche accadere che gli Stati vittima possano rinunciare alla riparazione, come è accaduto quando il Regno Unito decise di non reclamare dall’Argentina la restitutio in integrum durante il conflitto delle isole Falkland Malvinas o si può portare alla mente la vicenda del Kosovo che ha rinunciato a chiedere alla Serbia la riparazione dei danni che le truppe militari serbe causarono. In linea di principio, per essere chiari sul punto che si sta considerando, lo Stato responsabile di un illecito internazionale, alla fine di un conflitto armato, deve provvedere alla piena riparazione per i danni causati, che comprendono quelli materiali e morali.
La stessa Corte Permanente di Giustizia Internazionale, d’altro canto, nella sentenza del 1927 relativa all’officina di Chorzòw, determinava lo standard per la portata del vincolo di riparazione nel diritto internazionale, sebbene la restitutio in integrum deve depennare ogni conseguenza del fatto illecito e ristabilire lo stato di cose che sarebbe verosimilmente resistito, se il suddetto fatto non fosse stato commesso. Applicare quanto detto ai conflitti bellici causati dalla condotta aggressiva, ordinare il ristabilimento dello statu quo ante totale per un’invasione è stato un caso eccezionale, portando in risalto quando l’organo politico onusiano obbligava il regime di Saddam Hussein a riparare integralmente per la sua aggressione ed occupazione bellica del Kuwait, che è stato ottenuto dalla Commissione per i reclami delle Nazioni Unite.
Ora, sembra evidente che, con l’invasione delle truppe russe sul territorio ucraino, dopo che il conflitto sarà terminato, la condotta aggressiva della Russia comporterà la restitutio in integrum piena di svariati miliardi di dollari per danni di guerra alle città ucraine che, di certo, Kiev chiederà a Mosca. In sostanza le riparazioni per l’aggressione non riflettono il pieno costo, sebbene possano essere non realizzabili. I giudici della Corte Internazionale di Giustizia, nella sentenza sulle riparazioni relativa alle attività sul territorio del Congo (Repubblica Democratica del Congo c. Uganda), è stata chiamata a pronunciarsi sul complesso problema del risarcimento dei danni derivanti da un conflitto armato, statuendo che le autorità ugandesi dovevano espletare alle riparazioni piene per la loro occupazione e annessione di una parte del territorio orientale della Repubblica Democratica del Congo. Tuttavia, i giudici dell’organo giudiziario internazionale sentenziavano all’Uganda di pagare alla repubblica Democratica del Congo una consistente somma riparatoria per aver cagionato la morte di migliaia di civili, violenze sessuali, danni a proprietà e via discorrendo. In aggiunta, sempre gli organi giudiziari internazionali sottolinearono la responsabilità degli ugandesi di attenersi al risarcimento delle violazioni commesse da attori non statali sul lembo territoriale che occupava, di adottare tutte le misure della vigilanza, come viene d’altronde sancita dalla IV Convenzione dell’Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra. Quanto scritto può essere applicato al territorio ucraino occupato dalle forze militari russe, dove gruppi di truppe separatiste e mercenari stanno combattendo a fianco della Russia, che non sono sotto il controllo effettivo di Mosca.
Va inoltre aggiunto che le riparazioni che vengono cagionate da guerre di aggressione possono coprire non solo i civili vittime, ma anche i combattenti che perdono la propria vita. Si può menzionare, ad esempio, il Trattato di pace di Versailles del 1919 che riconosceva la Germania e i suoi alleati responsabili per esserne la causa di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai governi alleati, ma le risorse tedesche non erano sufficienti per assicurare la completa riparazione anche ai combattenti. Similmente, la Commissione dei reclami onusiana e la Commissione dei reclami etiope-eritreo, ad esempio, hanno respinto le richieste di risarcimento per i ferimenti e le perdite di combattenti e di materiale logistico militare. Di conseguenza, si asserisce che l’aggressione viola – secondo il commento generale del Comitato dei diritti umani – il diritto alla vita, suggerendo che non solo i civili rientreranno come vittime nel contesto delle riparazioni, ma anche i militari di uno Stato invaso.
Il governo ucraino, ad esempio, dopo che le armi dei due belligeranti russo-ucraino verranno messe a tacere, per l’ottenimento della concretizzazione riparatoria, potrebbe imporre una tassa di riparazione sulle materie prime come il gas e il petrolio russo per cancellare ogni conseguenza dell’atto illecito e ripristinare la situazione che sarebbe esistita se l’atto aggressivo russo non fosse stato commesso. Purtroppo, sino a quando Vladimir Putin e il suo entourage resteranno nella stanza del comando dei bottoni della Russia, sarà davvero arduo che l’organo politico onusiano potrà istituire una Commissione per i reclami. Tuttalpiù, la rimozione delle sanzioni potrebbe essere subordinata al risarcimento dell’Ucraina attraverso accordi bilaterali russi-ucraini o fra Stati Uniti/UE e la Russia. Con le riparazioni, quali mezzi per porre rimedio alle trasgressioni, viene a riabilitarsi la posizione morale di un Paese e normalizzarne lo status delle relazioni internazionali.
In conclusione, non si può non notare che la condotta aggressiva russa contro il popolo ucraino ha quasi frantumato la vecchia Carta onusiana con i suoi settantacinque anni di vita per scongiurare una guerra in Europa. L’occupazione bellica avvenuta con l’invasione della Russia ha danneggiato parzialmente le fondamenta del sistema dell’ordinamento giuridico internazionale, che continuerà ad esistere al termine di questo assurdo conflitto militare, dando successivamente forma su come riparare alcuni dei danni cagionati manu militari. Va inoltre ricordato che le riparazioni servono per rafforzare l’ordinamento giuridico internazionale compromesso dopo la sua violazione, ma anche per rivendicare i diritti dei civili che sono stati vittime inermi.