Russia e Ucraina producono solo un terzo del grano e dell’orzo del mondo, ma la maggior parte di questo è venduto ai Paesi africani, che importano il 40% del loro fabbisogno proprio da loro, mentre Ruanda, Tanzania e Senegal arrivano al 60%, l’Egitto all’80%. Il blocco del grano è costato a Kiev 11 % del suo pil, mentre l’intero settore vale solo il 5% per Mosca. Il mese scorso, secondo AGFlow, le esportazioni di cereali ucraini sono diminuite del 32%, mentre quelle russe sono aumentate del 18%, portando 1,9 miliardi di dollari nelle casse della Federazione.
Il presidente dell’Unione africana, Macky Sall è stato a Sochi, presso la residenza del leader del Cremlino Vladimir Putin. Ha ricevuto assicurazioni che la crisi del grano verrà risolta nel giro di 3-5 settimane.
Gli Stati africani, ha detto Sall, però non sono preoccupati solo dal blocco alle esportazioni del grano dall’Ucraina imposto dal Cremlino, ma anche e soprattutto dall’esclusione delle banche russe dal sistema Swift per le transazioni interbancarie. Questa sanzione, infatti, non danneggia solo Mosca, ma sta mettendo a rischio i pagamenti di tutti e dunque la possibilità degli Stati africani di acquistare cereali dalla Russia.
Sall ha poi ricordato i dati della Fao sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo nel 2020: i numeri indicavano che 282 milioni di persone, più di un terzo degli individui denutriti nel mondo, vivevano in Africa. A questi, bisogna aggiungere altri 46 milioni di africani a rischio fame e denutrizione a causa della pandemia da Covid-19 e le famiglie oggi colpite dagli aumenti dei cereali.
Giorni fa anche il Ciad ha dichiarato un’emergenza alimentare e nutrizionale. Secondo il Programma alimentare mondiale, in Corno d’Africa più di 14 milioni di persone sono sull’orlo della fame, 40 milioni se si considera tutta l’Africa occidentale. Il Paese a soffrire di più la dipendenza del grano russo è l’Egitto che a inizio giugno ha comprato 465.000 tonnellate del cereale proveniente da Russia, Romania e Bulgaria al costo di 480 dollari per tonnellata un aumento del 141% rispetto all’ultimo acquisto, effettuato prima dell’invasione russa.
Il Cairo per contrastare il pericolo fame ha annunciato di vietare il commercio di grano da parte di terzi almeno fino alla fine dell’estate con l’obiettivo di ottenere il controllo completo del mercato.
Le mosse dell’Onu
Nel frattempo l’Onu accelera i negoziati con la Russia per sbloccare la crisi del grano, ma Mosca chiede di togliere le sanzioni, suggerendo il passaggio via terra dalla Bielorussia. Kiev, dal canto suo rimane ferma sulla soluzione di esportare i 20 milioni di tonnellate tramite i propri porti. Kiev ha poi accusato Mosca di aver rubato il suo grano e di averlo venduto alla Siria. Il 2 maggio scorso il cargo Matros Pozynich è salpato da Sebastopoli e ha attraversato il Bosforo per andare ad Alessandria, ma in realtà poi si è diretto verso il porto siriano di Latakia per piazzare il grano sottratto.
L’accordo a cui si lavora al Palazzo di Vetro prevede lo sminamento e lo sblocco dei porti ucraini, in particolare Odessa, da dove dovrebbero partire i cargo col grano scortati dalle navi turche. In cambio la Russia otterrebbe il diritto di esportare i propri cereali e fertilizzanti senza sanzioni primarie o secondarie. Il tutto garantito da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.
L’ambasciatrice americana all’Onu Thomas-Greenfield ha garantito che il suo governo è pronto a consegnare lettere di garanzia alle compagnie assicuratrici e alle banche coinvolte, ma ha chiarito che i prodotti alimentari già non sono sottoposti a sanzioni.
Il collega russo Nebenzia ha risposto: “le mine nei porti non le abbiamo messe noi. Se gli ucraini le tolgono, siamo pronti a garantire il passaggio sicuro del grano”. Putin però ha chiesto che transiti solo dai porti sotto il suo controllo, pretendendo un generale allentamento delle sanzioni. Guterres stesso ha parlato venerdì con Lukashenko, che gli ha confermato la disponibilità a far arrivare il grano ucraino nei porti del Baltico via terra, in cambio del via libera a usare gli stessi porti per esportare beni bielorussi.
Washington sta pensando di realizzare magazzini temporanei per salvare il raccolto, e studia trasporti via terra che raggiungano l’Europa senza passare dalla Bielorussia. Dietro le quinte, all’Onu e negli Usa, si ripete che Putin ha le leve per evitare la catastrofe umanitaria: “se non le userà, sarà la dimostrazione di come è pronto a sacrificare milioni di vite per soddisfare l’ambizione di imporre il suo potere“.
Il ruolo della Turchia
Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Anadolu ha assicurato che le forniture di grano ucraino potrebbero riprendere presto attraverso il Mar Nero e gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. A sbloccare la ripresa dell’export potrebbe essere la firma di un memorandum in occasione della visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che mercoledì sarà ad Ankara.
Kalin ha poi detto che “sarà presa una decisione e le forniture inizieranno al più presto possibile. Posso dire questo: se per esempio raggiungeremo un accordo domani, il trasporto via mare inizierà 3-5 settimane dopo. Prima bisogna sminare il mare e creare un corridoio”.
L’appello dell’Italia
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, al G7 in Germania è tornato a ribadire l’urgenza di uno sblocco delle esportazioni di grano dalle regioni interessate dal conflitto in Ucraina: “La guerra mondiale del pane è già in corso e dobbiamo fermarla. Rischiamo l’instabilità politica in Africa, la proliferazione di organizzazioni terroristiche, colpi di Stato: questo può produrre la crisi di grano che stiamo vivendo. Se non fermiamo la guerra mondiale del pane, la crisi alimentare del grano, potremmo ritrovarci non solo con nuove guerre, maggiore instabilità in Africa, ma soprattutto con maggiori flussi migratori. Non dobbiamo dimenticare che ci sono 30 milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti ucraini dalle navi da guerra russe, quello che noi stiamo facendo è lavorare affinché la Russia sblocchi l’export di grano nei porti ucraini”.