Siria, caccia ai lealisti di Assad: tra stabilità e accuse di vendetta politica

di Antonio Adriano Giancane

La Siria post-Assad si trova al centro di una delicata fase di transizione, con la nuova amministrazione che intensifica le operazioni per rintracciare i membri del deposto regime. La campagna, definita prioritaria dalle autorità, mira a consolidare il controllo su un Paese ancora profondamente frammentato. Tuttavia, le modalità con cui viene condotta stanno sollevando preoccupazioni sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali.

Sabato scorso, Sana, l’agenzia di stampa statale, ha riferito dell’arresto di “alcuni resti delle milizie di Assad” nella regione costiera di Latakia. Durante l’operazione sono state sequestrate armi e munizioni, a conferma dell’intenzione del nuovo governo di agire con fermezza contro coloro che minacciano la sua autorità. Fonti ufficiali affermano che gli sforzi sono mirati a neutralizzare lealisti armati che rifiutano di disarmare e accettare l’autorità della nuova amministrazione.

Ma non mancano le controversie. Organizzazioni per i diritti umani, tra cui l’Osservatorio siriano per la pace con sede in Gran Bretagna, denunciano arresti arbitrari e l’assenza di un processo equo per i sospettati. Rami Abdulrahman, direttore dell’Osservatorio, ha dichiarato che molte delle persone arrestate non sono state coinvolte in crimini contro la popolazione, ma sono semplici sostenitori del vecchio regime. “Abbiamo bisogno di una giustizia di transizione, non di una giustizia di vendetta,” ha sottolineato.

Un episodio particolarmente critico si è verificato mercoledì scorso nella regione di Tartus, roccaforte della minoranza alawita e cuore del supporto ad Assad. Un tentativo delle forze governative di arrestare Mohammed Kanjou al-Hassan, ex direttore della giustizia militare, si è trasformato in un sanguinoso scontro armato, con un bilancio di quattordici agenti di sicurezza uccisi in un’imboscata orchestrata dai lealisti. Nonostante alcune fonti abbiano riferito che al-Hassan sia stato successivamente catturato, la sua sorte resta avvolta nel mistero.

La nuova amministrazione ha difeso le proprie azioni, sostenendo che siano mirate a ristabilire la sicurezza e prevenire ulteriori attacchi contro il governo di transizione. Secondo un comunicato del Ministero degli Interni, le operazioni si sono rese necessarie dopo che i sostenitori del vecchio regime hanno rifiutato di consegnare le armi entro i termini stabiliti. Parallelamente, sabato le autorità libanesi hanno rimpatriato 70 militari del regime di Assad che avevano cercato rifugio in Libano.

Dietro queste azioni si cela una sfida politica più ampia. Hayat Tahrir al-Sham, il gruppo islamista che guida la nuova amministrazione, sta cercando di rassicurare le comunità minoritarie, tra cui alawiti, cristiani e drusi, sul fatto che il nuovo ordine non sarà una ripetizione del passato autoritario. Tuttavia, la paura di persecuzioni rimane alta, e molti temono che il governo stia utilizzando questa campagna per consolidare il proprio potere a scapito di una vera riconciliazione nazionale.

“Il nuovo governo ha l’opportunità di costruire uno Stato basato sulla giustizia e sulla trasparenza,” ha dichiarato Abdulrahman. “Ma ciò richiede un impegno chiaro: perseguire chi ha commesso crimini di guerra, ma con processi equi e rispettosi dei diritti umani. Non possiamo permettere che la Siria ripeta gli errori del passato.”

Mentre la transizione siriana avanza, il rischio di una deriva autoritaria o di un’escalation di violenze interne rimane elevato. La comunità internazionale osserva con attenzione, consapevole che il futuro della Siria avrà ripercussioni significative sull’intera regione.

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