La centralità delle risorse umane e delle tecnologie
(di Davide D’Amico Dirigente MIUR e Consigliere AIDR) In questo momento estremamente complesso di emergenza del nostro Paese a seguito del problema COVID-19, gran parte dei lavoratori pubblici e privati ha dovuto cambiare modalità di lavoro passando allo smartworking, che probabilmente continuerà ad essere applicato anche oltre il 18 del mese di maggio.
Questo significa che le pubbliche amministrazioni e le imprese dovranno intraprendere scelte strategiche adeguate per sostenere nel tempo un modo diverso di lavorare, basato certamente su investimenti in tecnologie ma anche e soprattutto sull’importanza di fattori diversi, legati a particolari caratteristiche di “umanità”, cui occorrerà sempre più far riferimento.
Una di queste caratteristiche è “il senso di appartenenza”, che deve essere riscoperto, quel senso di orgoglio di far parte di una comunità di persone che operano nelle pubbliche amministrazioni e nelle imprese, per un generale interesse collettivo del nostro Paese. Quanto più una pubblica amministrazione o un’impresa avrà la capacità di costruire, sostenere e rafforzare il senso di appartenenza, tanto più ci saranno risultati positivi e si potrà realizzare valore pubblico, valore privato e conseguentemente anche valore per il Paese.
Se siamo coscienti di questo, dobbiamo affermare con decisione che nel futuro, è sempre più centrale il ruolo delle “persone”.
Prendersi cura dei propri collaboratori, del personale deve essere l’obiettivo strategico guida di ogni PA e azienda. In questo senso occorre “costruire” e/o “ricostruire” un rapporto di fiducia con il personale. Ciò significa, ad esempio, pensare alla loro salute e sicurezza, al loro sviluppo professionale continuo e alla valorizzazione del merito.
Quindi le funzioni HR aziendali e pubbliche hanno una grande responsabilità ed hanno una grande occasione, in questo momento, anche per mettere in campo azioni adeguate che devono partire necessariamente dalla valorizzazione delle capacità professionali e dell’impegno, nonché da interventi strutturali in formazione.
Se si vuole affrontare in modo serio e rigoroso il tema dello smartworking nella fase 2 della post emergenza, occorre puntare necessariamente su interventi formativi mirati, non solo per i collaboratori ma anche per tutti i livelli dirigenziali, in particolare sullo sviluppo di competenze trasversali, spesso trascurate e correlate con: l’autonomia, la fiducia in se stessi, la flessibilità/adattabilità, la resistenza allo stress, la capacità di pianificare ed organizzare il proprio lavoro o il lavoro degli altri nel caso del manager, l’essere responsabili del proprio aggiornamento professionale, lavorare per obiettivi e conseguire risultati, lo spirito d’iniziativa, la capacità comunicativa, il team working, il problem solving, la leadership.
Senza queste competenze, difficilmente sarà facile passare da una cultura dell’adempimento (basata sull’orario di lavoro) ad una cultura del risultato (focalizzata sul raggiungimento di obiettivi misurabili e sfidanti), che si sposa pienamente con le metodologie dello “smartworking”.
Al ruolo centrale delle persone dobbiamo ovviamente aggiungere il tema del digital divide infrastrutturale, tecnologico e culturale che, per lo smartworking, può causare problemi anche di complessa risoluzione.
L’ultimo report ISTAT del 2019, ci fornisce una percentuale media di famiglie che dispongono di una connessione internet a banda larga del 74,7 % (78,1% nelle aree metropolitane), evidenziando come, in Italia, il digital divide infrastrutturale delle reti di comunicazione rappresenti ancora una criticità, nonostante gli sforzi e gli investimenti strutturali, fino ad oggi compiuti. I dati della copertura territoriale delle abitazioni familiari in banda larga (fino a 30 Mbps in download) ed in banda ultra larga (da 100 Mbps a 1 Gbps in downolad) mostrano una percentuale rispettivamente del 96% e del 45,4 % a livello nazionale (fonte http://bandaultralarga.italia.it/). Inoltre, si rileva una situazione di copertura non uniforme sul territorio nazionale, che porta ad accentuare anche disuguaglianze di connettività tra le varie città e regioni, per non parlare delle zone montane, e appenniniche.
Per ciò che riguarda il digital divide tecnologico, si fa riferimento invece alle dotazioni personali dei lavoratori e agli strumenti messi a disposizione dalle aziende o dalle pubbliche amministrazioni per lo smartworking, spesso non sufficienti a garantire una efficace prestazione lavorativa.
Ad esempio, può accadere che un dipendente della pubblica amministrazione, debba condividere il suo PC o il tablet personale con il figlio che, allo stesso tempo, deve seguire lezioni di didattica a distanza. Oppure che l’azienda non abbia acquistato servizi software adeguati per consentire di far lavorare in modo efficace i propri collaboratori da remoto. Se a questo aggiungiamo anche il digital divide culturale (solo il 29% degli utenti di internet della fascia d’età 16-74 anni ha competenze digitali elevate), favorito anche da un’età media molto elevata per il nostro Paese, possiamo immaginare quanto, in queste condizioni, sia difficile pensare oggi ad uno smartworking realmente efficace, nonché assicurare la sua sostenibilità nel tempo. E’ necessario quindi definire politiche pubbliche mirate anche al sussidio per le dotazioni strumentali dei dipendenti pubblici e privati e per le imprese, soprattutto quelle medio piccole, senza trascurare gli interventi nella diffusione di una cultura digitale su tutto il territorio nazionale.
Infine non possiamo trascurare i rischi dello smartworking, alcuni dei quali fanno riferimento alla salute come, ad esempio, lo stress da lavoro correlato, la difficoltà di disconnessione, per i quali è importante definire una adeguata regolamentazione attuativa e quelli connessi con l’isolamento e il rischio di rimanere fuori dalle dinamiche organizzative e relazionali delle imprese e delle pubbliche amministrazioni. Per mitigare il rischio dell’isolamento dalle dinamiche relazionali interne all’organizzazione è possibile favorire azioni di comunicazione anche a distanza, volte a rafforzare il rapporto tra dirigenti e collaboratori attraverso una visione d’insieme sugli obiettivi perseguiti e le relative ricadute, in termini anche sociali e di impatto sul Paese delle attività lavorative svolte.
Nonostante questo, non è possibile pensare allo smartworking come attività da svolgere esclusivamente “fuori dall’ente”. E’ importante infatti garantire comunque dei momenti in ufficio, in presenza, in cui sia possibile stimolare anche gli incontri nelle cosiddette “pause caffè”, che costituiscono “momenti importanti” della vita lavorativa, in cui l’attivazione contemporanea dei “5 sensi” contribuisce a far crescere l’organizzazione attraverso la conoscenza implicita e il pensiero critico condiviso.
Per questo la vera sfida dello smartworking sarà sempre più orientata a raggiungere un adeguato bilanciamento dell’attività lavorativa in presenza e online, avendo cura di individuare metodi, processi e tecnologie che possano coniugare l’organizzazione del lavoro per obiettivi con la necessaria garanzia di una sostenibilità dei valori delle relazioni umane e della condivisione della conoscenza.