Social e coro greco, due strutture estetiche ad interazione etica, possibile anche oggi?

   

Nei social, l’azione tra figure interagenti può essere accostato  alla medesima dinamica che  intercorre tra  coro e protagonista , nel teatro  greco?

Bizzarro  accostare un elemento che vuole essere, nelle intenzioni di chi lo crea & usa ,semplicemente ludico o strumento attivo per connettere interessi comuni,  come un social – oggi ce ne sono per ogni esigenza- a un elemento come le figure del teatro greco, ma l’approccio non è così azzardato. Per una definizione di coro , si ricorre a D’Amico, che così parla :”(il coro) non freddo espositore, bensì commosso e lirico; che partecipa idealmente a quanto avviene sulla scena, e lo commenta, e ammonisce …arrivando addirittura a minacciare un intervento nelle vicende sceniche.”

La funzione dei social è improntata a far si che l’utente che volontariamente si assoggetta alla netiquette proposta e specificata per ogni social (qui si fa riferimento a Facebook, Instagram,Twitter, Linkedin ecc ecc) possa usufruire di una piattaforma che lo connette agli altri. Al bisogno dunque di socializzare, al bisogno di interagire, per combattere solitudine e mancanza di identità specifica. Connettersi all’Altro con la A maiuscola, nella definizione di  Lacan.

La connessione tra molteplici  ‘Altro’ parte dall’istanza  che : “il soggetto è immerso nella struttura, è a bagno nella struttura, che lo predetermina, che lo attraversa, una struttura che Lacan chiama Altro.  L’Altro di Lacan è il campo del linguaggio, entro le cui leggi si trova preso il soggetto. È una rappresentazione che gli è necessaria  per dimostrare la dipendenza dell’uomo dalla struttura, dalla Cultura. (Lacan e lo strutturalismo,Francesco Albanese, http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/psiche/albanese.htm)

I social quindi diventano ,’fanno’ cultura nell’interagire fonemico ed iconico tra utenti, ma che tipo di scambio c’è nei social? Al di là dei contenuti specifici di ogni post, che cosa davvero si dice agli altri di sé?

Non certo il semplice porn food o la sagra paesana che torna in auge, oltre questo fenomenologizzare gli accadimenti più personali e intimi ‘postandoli’, che bisogno c’è di pubblicizzare la propria vita in ogni suo aspetto, caduco o permanente?

Quale è il meccanismo che si innesca, al di là della scala dei bisogni di Maslow, rivisitata da studi recenti di sociologia, che rende tutti visibili ma anche, e qui nasce la curiosità di questo articolo, commentabili, sottoposti si all’attenzione degli altri, ma anche alla loro valutazione. Certo, sono opinioni le risposte date ai post ma comunque cariche di vissuti personali pregni.

Ecco, allora con un post, uno soltanto, i bisogni di essere seguiti e di piacere sono assicurati.

Bisogni come  :”Autostima: posso scegliere gli “amici”, ma anche gli altri possono farlo. Per questo, se tanti mi scelgono come “amico”, allora “valgo”; e non ultimi i :“Bisogni di autorealizzazione: posso raccontare qualcosa di me (dove sono e cosa faccio) come voglio e posso usare le mie competenze per aiutare qualcuno dei miei “amici”, che mi ascolta.” (1), questi ultimi che non rimangono senza eco, anzi, ne sono fortificati.

Più ‘like’ più autostima, più contatti, più autoaffermazione.

Al di là del mero contatto ,elicitato nel trovare anime gemelle, commenti ad ogni tipo di divertimento ,o nel cercare lavoro, si commentano le vite degli altri, sapendo perfettamente che anche la propria sarà sotto giudizio altrui.

Si trova certo un accordo nell’affermare che nei social ogni individuo fa sfoggio di Sé, fa sfoggio della Persona, nell’accezione di maschera consciamente indossata.

E che quindi i social siano il nuovo specchio narcisistico 2.0?

Ma specchiarsi spesso è pericoloso, come accadde a Narciso.

Scrivere un post, attendere che qualcuno risponda, che altro metta il ‘like’, che uno ignori.

L’Altro può leggere, entrare nella vita del soggetto che posta un contenuto e quindi commentare.

Commento dunque sono?

Si, in maniera assoluta e assolutistica.

Assoluta: perché chi risponde si sente in grado di aver compreso il post originale, anche se spesso come ebbe a dire Umberto Eco, risponde solo con commenti ’da bar dello sport’, ovvero di una superficialità che sconfina nell’indifferenza per chi ha postato per primo, perché l’azione importante è quella di esserci nel rispondere, esserci nel ‘like’ o nel ‘dislike’. Poco importa se si è postato la polmonite del caro zio o la formula per riparare il buco nell’atmosfera, è importante che qualcuno ‘là fuori’ mi risponda!

Assolutisticamente: perché colui che risponde si sente potente.

La potenza di un giudice, la potenza di chi sa di più adesso nell’immediato della lettura del post , la potenza di esserci lì e in quel momento. La potenza di commentare sempre e comunque.

Ma la rassicurazione di sé nel rispondere ad un post come viene percepita dal primo che ha postato?

Ecco che corre il parallelo per spiegare i rapporti tra utenti con le categorie estetiche del teatro  greco e specificatamente all’uso del coro.

Aristotele, in ‘Poetica’, definisce  il coro ‘come  …uno dei protagonisti’ , In ambito sociologico e psicologico si può già affermare ,nonostante i pochi studi presenti, che, soprattutto i teen agers sembrano tenere in alta considerazione i commenti (che si tramutano in giudizi/sentenze) che vengono loro inflitti perché  inviati dai loro coetanei  a latere di ogni loro post.

Quindi da coreuti si diventa protagonisti in modo alternato e confuso.

Il proto-agonista-primo competitore – è  il primo che posta e poi a cascata arrivano il  “deuteragonista” e “tritagonista”, a volte all’infinito!

Il coro spesso però fornisce nel teatro una soluzione, un diverso punto di vista, fa ‘crescere’ il protagonista e rispetta il proprio ruolo di ‘aiuto’ all’eroe.

Nei social non sembra accadere questo. Non c’è posto per un vero appoggio, un vero ascolto.

Una massa informe che partecipa con viscere e senza cuore al post, e se pure ci fosse un follower che è lì per mettersi in relazione sincera con l’altro, verrà comunque confuso, soffuso dall’ammasso del gruppo che risponde.

Il gruppo che  risponde al primo protagonista, il coro insomma, in ogni social che si scelga, non è il gruppo  che:” “ è una ‘situazione data’, che dal punto di vista gestaltico possiamo definire come una creazione continua di confini di contatto che si differenziano da uno sfondo. […] Lo sfondo del gruppo dà significato agli eventi/figure. Nello stesso tempo, il modo di essere dei membri del gruppo crea la vitalità, la qualità della presenza, e dunque la spontaneità o meno con cui la vita del gruppo attraversa le sue fasi” (http://www.gestalt.it/gestaltpedia/doku.php?id=gruppo).

Nei social, il gruppo di persone che risponde al post è in primo momento giudicante/commentatore, assolve alla funzione di Altro lacaniano, Super Io freudiano, per poi passare alla seconda fase, quella  di influenza  su comportamenti e reazioni. Queste reazioni a catena influenzano il primo soggetto e con lui chiunque abbia risposto, nel modo di vestire, agire, reagire e pensare, nel mondo non virtuale.

E nell’ ‘essere gruppo’, essere ‘coro’  che trova potere ogni individuo, rafforzando fiducia o sfiducia in chi ha postato per primo un contenuto e come in un fluido rende tutti equidistanti dal post centrale e quindi tutti influenzabili da tutti. Tale influenza è moralmente corretta? O corrisponde all’esposizione di concetti etici validi tanto quanto un vuoto a rendere dell’anima?

Vale a dire, rispondere è sempre corretto? Consapevole? Di aiuto? O serve semplicemente ad essere per l’ennesima risposta, un inguaribile narciso?

La volontà di ‘esser-ci’ travalica quella di esser-presenti per l’altro da sé?

Il coro nel social, ovvero il rispondere a tutti e di tutti compie un’ opera utile, di crescita per chi  vi posta?

O rimane un vuoto ragliare proprie prospettive troppo solipsistiche?

La netiquette non ha morale, non ha principi etici, ma unicamente è utile educazione.

Il protagonista che posta dimostra una volontà, il coro/gruppo risponde con la dimostrazione di elementi insinceramente morali, estetici, politici o in contrasto o in accordo, proprio come il coro greco rispondeva all’eroe. Insinceri perché si è comunque sotto copertura, si è persone, si è coreuti, non si è individui.

Il coro dimostra nel teatro greco la sua utilità di contraltare a quanto espone il protagonista, è poi a volte la voce dell’autore della tragedia o della commedia che così esprimeva il proprio punto di vista poetico e etico. Questo lo legava necessariamente ad essere sincero e presente, critico si ma mai decostruente.

Nei social chiunque dimostra il proprio punto di vista, privando però il gruppo/coro della profondità etica del coro/gruppo stesso.

Secondo i concetti della Gestalt:” . Individuo e gruppo non sono due realtà distinte” (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 232). Ed anche:  “La storia del gruppo è una storia di intenzionalità di contatto e del sostegno che esse ricevono nei vari momenti evolutivi” (Spagnuolo Lobb, 2012, p. 56).

Seguendo questo pensiero gestaltico, l’individuo nel social è davvero distinguibile dal gruppo? E il gruppo è di sostegno?

Si considererà, contro la presente tesi, che nei social si cerca divertimento non approfondimento, avere tale illusione sarebbe da sciocchi, ma chi è certo che invece nel proprio profondo nei social non si cerchi appunto un approfondimento per conoscersi meglio, anche attraverso gli altri?

L’identificazione di cui parla Perls qui: “Sono convinto che nel laboratorio di gruppo si possa imparare moltissimo già comprendendo che cosa sta succedendo dentro ad un’altra persona, e rendendosi conto del fatto che moltissimi dei suoi conflitti sono anche i propri, e per identificazione si impara. (Perls, 1980, p. 9) è resa vana in quanto nessuno nel social impara dall’altro qualcosa su se stesso! Ne viene invece influenzato e non in positivo, in crescita ma in regressione a bisogni primordiali, che nel peggiore dei casi divengono aggressioni bullistiche o peggio(p.e. razziali o religiose)  In contrasto dunque con la teoria  di Perls ,nei social  non si’ impara per identificazione’ a conoscere meglio sé stessi, ma regna soltanto il narcisismo, il poter dire tutto a tutti in una anarchia emozionale senza precedenti.

di Silvana Mangano, counselor filosofico