(di Massimo Montinari) Tantissimi sono gli esempi di sortilegio descritti nella copiosa letteratura demonologica. Nel Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe),scritto nel 1486 dai domenicani inquisitori della Chiesa Cattolica, Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, vengono descritti molti sortilegi che poi sono diventati comuni in molte pratiche. Ad esempio, quello di una strega che aveva sepolto in una stalla una pentola contenente un rospo vivo e un’ostia consacrata che “doveva servirle per causare a suo piacimento danni agli uomini e alle altre creature”, così come le uova sotterrate dalle streghe accanto a un cadavere, poi dissepolte e date da mangiare a qualcuno, riuscivano a procurare crisi epilettiche.
Jean Bodin (Angers, 1529 – Laon, 1596) è stato un filosofo della politica e del diritto francese, magistrato e teorico dell’Inquisizione, nella Demonomania degli stregoni (1580), descrisse i cosiddetti “sortilegi della cera”, cioè immagini fabbricate dalle streghe che rappresentavano i loro nemici e che venivano trafitte per farli morire. Sortilegi simili sono descritti nelle tabellae defixionum conosciute nell’antica Roma, pratica descritta dallo storico Plinio il Vecchio. Le defixiones (defissioni; al singolare defixio = defissione) erano testi di contenuto magico, spesso contenenti maledizioni, scritti su lamine di piombo incise a graffio, dette appunto tabellae defixionum. Queste pratiche, secondo il Bodin, erano ispirate all’adorazione del demonio.
Opera importante è rappresentata dalle Disquisitionum magicarum (Disquisizioni magiche) di Martin Antoine Del Rio (Anversa, 17 maggio 1551 – Lovanio, 19 ottobre 1608), gesuita di ascendenza spagnola, umanista e teologo. Il suo trattato non si basava sull’esperienza personale, ma poneva le fondamenta sulle sue estese conoscenze classiche e sulla sua familiarità con la storia della Chiesa e sulla letteratura relativa alla vita dei santi (agiografia); si basò molto anche su racconti provenienti da altri paesi e continenti, nonché sui resoconti dei gesuiti missionari nel Nuovo Mondo.
Nella sua opera si legge che le streghe sapevano “far cadere la pioggia” rimestando la propria urina in una buca nella terra; per lo stesso scopo potevano utilizzare dei minerali contenenti alluminio che, una volta mescolati con dei nitrati, producevano le “nuvole della pioggia”. In quell’epoca Del Rio segnalava che tra i malefici più frequenti vi era il “ligamento”, che rendeva impotente il maschio. Descriveva quasi cinquanta tipi di “ligamento“ di cui quello più semplice consisteva nell’annodare una cinghia sopra la quale veniva pronunciata una formula magica.
Altro grande demonologo era Pierre de Rosteguy signore di Lancre (Bordeaux, 1553 – Loubens, 1631) magistrato e inquisitore francese formatosi in Italia. La sua opera,Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons (1612), rappresentava una delle più dettagliate descrizioni del “sabba” (adunate notturne), dove le streghe avrebbero arrostito dei rospi riducendoli poi in polvere che spargevano sui campi e sui vigneti per distruggerne i raccolti.
Firenze al centro della moderna stregoneria
Ma arriviamo ai secoli più recenti, con le “streghe moderne” che riprendono pratiche rimaste vive nella tradizione, in particolare, la “wicca” che ha una profonda radice italiana, e questo viene descritto da uno studioso di folklore americano, Charles Godfrey Leland (Filadelfia, 15 agosto 1824 – Firenze, 20 marzo 1903) che trascorse vari anni a Firenze compiendo studi e ricerche sul folklore italiano. Andò a caccia di streghe fra l’Emilia e la Toscana e si avvalse delle rivelazioni della “strega fiorentina”, Maddalena, il cui vero nome era Margherita Taleni, o Zaleni, che sosteneva di essere di discendenza etrusca e di conoscere gli antichi rituali. Maddalena, nella corrispondenza con Leland, si firmava “Maddalena Talenti”.
Da questa ottenne un manoscritto che pubblicò nel 1899 come Aradia, (o il Vangelo delle streghe), divenuto un testo fondamentale della wicca. Questo libro, scritto nel 1899 da Charles Godfrey Leland, rappresenta un tentativo di descrivere le credenze e i rituali di una tradizione religiosa stregonesca toscana, che era sopravvissuta per secoli fino alla scoperta della sua esistenza nell’ultimo decennio dell’ 1800. Il libro è diventato uno dei testi da cui hanno tratto ispirazione, almeno in parte, i movimenti neopagani della Wicca e della Stregheria.
Leland ,nella presentazione del suo “vangelo delle streghe” scrive: “La strega italiana nella maggior parte dei casi viene da una famiglia in cui la sua arte è stata praticata da molte generazioni”. La maggior parte del testo di Aradia si compone di incantesimi, benedizioni e formule rituali; comprende anche racconti e miti che suggeriscono che vi sia un’influenza sia dell’antica mitologia romana sia del cattolicesimo.
Tra i miti vi sono Diana, una “divinità solare” chiamata Lucifero, il Caino della Bibbia, una “divinità lunare” e la figura messianica di Aradia. La stregoneria del “Vangelo delle streghe” è sia un formulario per lanciare incantesimi sia il testo di una sorta di “contro-religione” anti-gerarchica in opposizione alla Chiesa Cattolica.
Il “vangelo delle streghe” si potrebbe dividere in due grandi capitoli: il primo descrive una parte mitica riferita alla dea Diana, che inviò sulla terra la figlia Aradia al fine di insegnare agli uomini, soprattutto ai poveri e agli schiavi, l’arte della stregoneria; il secondo capitolo è riferito ad un vero prontuario per la pratica di scongiuri, formule e pozioni magiche per ottenere risultati in amore, salute, affari, sulla creazione di talismani (come limoni conficcati di spilli), fino ai cibi da consumare nel corso delle adunate notturne (sabba).
Aradiaè composto da quindici capitoli. I primi dieci sono presentati come la traduzione fatta da Leland del Vangelo manoscritto datogli da Margherita Taleni (Maddalena). Questa parte, che è composta principalmente da incantesimi e rituali, è anche la fonte della maggior parte dei miti e dei racconti contenuti nel testo. Alla fine del capitolo I c’è il passo in cui Aradia indottrina le sue seguaci su come praticare la stregoneria.
Il capitolo I descrive le prime streghe come schiave che sono sfuggite ai propri padroni e che iniziano delle nuove vite come “ladre e persone malvagie“. Diana manda loro sua figlia Aradia per insegnare a queste ex schiave la stregoneria, della quale possono usare la potenza per “distruggere la malvagia stirpe degli oppressori“. Le allieve di Aradia diventano così le prime streghe eredi di Diana.
Leland fu colpito da questa cosmogonia (il mito che fornisce un’interpretazione dell’origine e della formazione dell’universo)… “in tutte le altre Scritture di tutti i popoli è l’uomo… a creare l’universo; Nella società delle streghe è la femmina a rappresentare il principio fondamentale“.
Interi capitoli di Aradia sono dedicati a rituali e formule magiche. Tra questi sono descritti incantesimi per ottenere l’amore (Capitolo VI), una scongiurazione da recitare quando si trova una pietra bucata o una pietra rotonda per trasformarla in un amuleto per ottenere il favore di Diana (Capitolo IV), e il modo per consacrare farina e altri alimenti per una festa rituale in onore di Diana, Aradia e Caino (Capitolo II).
Leland, nell’appendice del suo libro, descrivendo questi miti, dice: “Diana è la Regina delle Streghe; è associata a Erodiade (Aradia) nelle sue relazioni con la stregoneria; generò un figlio da suo fratello il Sole (Lucifero); come divinità lunare è in qualche modo associata a Caino, che è prigioniero sulla luna. Le streghe di un tempo erano persone oppresse dal regime feudale che tentavano di vendicarsi in ogni modo e che facevano orge in onore di Diana che la Chiesa definiva come l’eredità di satana“.
Diana non è l’unica dea delle streghe, ma nel capitolo III è presentata come una divinità creatrice che si divide tra luce e oscurità. Dopo aver generato Lucifero, Diana lo seduce assumendo la forma di un gatto, e finendo poi per generare Aradia, la loro figlia. Diana dimostra la potenza delle sue arti magiche creando “i cieli, le stelle e la pioggia” e diventando la “Regina delle Streghe“.
Leland riporta nel libro anche i suoi commenti e annotazioni su alcuni passaggi, mentre il capitolo VII è composto dalla raccolta di testimonianze e scritti relativi al folklore italiano. Negli ultimi cinque capitoli è riportata tutta quella documentazione raccolta dall’autore nel corso della sua ricerca sulla stregoneria italiana che credeva avesse una certa attinenza con il Vangelo, in particolare riferita al periodo in cui stava lavorando a Etruscan Roman Remains e Legends of Florence.
Il capitolo XV, descrive un incantesimo per evocare Laverna utilizzando un mazzo di carte da gioco, facendo notare come Diana fosse adorata dai fuorilegge e Laverna fosse la dea romana dei ladri. Leland definì il testo: “…una raccolta di cerimoniali, incantesimi e testi tradizionali“, descrivendo il proprio lavoro come un tentativo di raccogliere materiale “di curiosi e interessanti resti della tradizione orale latina ed etrusca“che temeva sarebbero andati perduti.
Nell’appendice, Leland commenta: “Credo anche che in questo vangelo delle streghe ci sia un credibile abbozzo perlomeno della dottrina e dei riti osservati durante i sabba. Adoravano divinità proibite e praticavano riti vietati, ispirati tanto a una forma di ribellione contro la società quanto alle loro passioni personali”.