Spese militari al 2% del Pil, la Nato lo imporrà come requisito minimo, mentre Putin avverte: “siamo in guerra calda”

Il 2% del Pil da destinare alle spese militari non sarà più una possibilità ma un vincolo per i Paesi che fanno parte della Nato. Non lo ha detto chiaramente il segretario generale Stoltenberg ma gli addetti ai lavori sono certi che al prossimo vertice di luglio a Vilnius verrà ufficializzata la nuova postura che prevede il livello minimo da raggiungere: il 2 % del Pil. Non a caso ieri, durante la riunione dei ministri degli esteri, Stoltenberg ha comunque anticipato che l’impegno finanziario degli alleati del 2% del Pil non è più un obiettivo verso cui procedere, ma diventerà un livello minimo richiesto.

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L’accelerazione verso una comune compartecipazione perché la Nato ha intenzione di fornire all’Ucraina un sostegno a lungo termine per consentirgli di raggiungere gli standard militari dell’Alleanza, condizione essenziale per poi pensare ad un ingresso vero e proprio nell’Organizzazione.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sulla vicenda, ha detto: “siamo favorevoli a procedere in quella direzione. Ma bisogna vedere con i bilanci perché non è un adeguamento che si può fare con la bacchetta magica”.  “E’ fondamentale, ha precisato Tajani, che l’Europa lavori per razionalizzare le spese. Il sistema di difesa europeo deve essere parte del sistema Nato”.

Nel frattempo Volodymyr Zelensky è volato a Varsavia per chiedere altri caccia Mig-29. Varsavia darà a Kiev altri 10 Mig-29 oltre ai 4 già consegnati. Vladimir Putin, invece, ha accolto a Mosca il presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko per discutere di scambi commerciali e soprattutto di Ucraina, in vista di nuove iniziative sulle diverse linee di fronte aperte nel corso della guerra.

Vladimir Putin, in occasione della cerimonia delle credenziali a 17 nuovi ambasciatori ha assicurato che Mosca non si vuole isolare e vuole rimane aperta alla cooperazione.

Putin non ha però perso la ghiotta occasione per sferrare attacchi diretti all’Occidente, accusando i suoi servizi di intelligence nel coinvolgimento e nella preparazione di atti di sabotaggio e terroristici condotti poi dall’Ucraina (velato è stato il riferimento al recente attentato di San Pietroburgo). Il presidente russo ha poi accolto la nuova ambasciatrice americana Lynne Tracy e il suo collega europeo Roland Galharague.

Rivolgendosi all’ambasciatrice americana ha accusato gli Usa di aver sostenuto la rivolta di Maidan del 2014 e di aver quindi provocato l’attuale situazione, un conflitto che ora è nella fase calda. A ribadire il concetto il vice ministro russo Ryabkov che ha enfatizzato il fatto che Mosca e Washington siano in una fase di conflitto caldo, rimarcando le attività militari in corso: equipaggi dell’aeronautica  russa hanno appena  svolto esercitazioni di bombardamento in un campo di addestramento vicino Kaliningrad, proprio nell’area del Baltico.

Putin rivolgendosi poi al rappresentante dell’Unione europea ha detto che è stata l’Ue ad aver cominciato lo scontro geopolitico con Mosca.

Tuttavia gli incontri diplomatici a livello globale continuano nel tentativo di porre un freno ad una possibile escalation. Il ministro degli Esteri russo Lavrov andrà in Turchia mentre Macron è von der Lyen sono in Cina.  Macron ha detto che la Cina, con i suoi buoni rapporti col Cremlino, potrebbe svolgere un ruolo importante nella ricerca di una strada verso la pace.

A Varsavia il presidente ucraino Zelensky ha, tuttavia, dichiarato che la situazione è difficile e che un ritiro potrebbe essere deciso in caso di minaccia di ingenti perdite di soldati. Kiev comunque, ha precisato il presidente, continua a sostenere di voler riprendere possesso di tutti i propri territori annessi illegalmente dalla Russia, compresa la Crimea, entro sei mesi.

Spese militari al 2% del Pil, la Nato lo imporrà come requisito minimo, mentre Putin avverte: “siamo in guerra calda”

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