(di John Blackeye) È giunta ieri l’ennesima notizia del suicidio che ha riguardato un giovane finanziere uscito dalla Scuola di formazione da poco più di un anno.
I suicidi del 2020 tra le forze dell’ordine e le forze armate ammontano già a 22 casi. Nel 2019 di suicidi ce ne sono stati 69. Speriamo che nel 2020 il fenomeno si fermi qui e non si confermi invece il trend dell’anno precedente.
Si può ragionevolmente affermare che se a quelli degli ultimi due anni, aggiungiamo anche quelli degli anni appena precedenti, il numero degli sfortunati raggiunge e supera le centinaia di persone.
Quello che pare emergere a prima vista, è che qualcosa non vada bene nel sistema gerarchico funzionale che riguarda le organizzazioni di tutti i Corpi e le Armi nei quali si sono verificati questi tragici eventi. Sembra che manchi il contatto tra i vertici delle istituzioni e la base oppure se il contatto esiste, chi dovrebbe guardare indietro per controllare che sotto il suo livello vada tutto bene, è forse impegnato a guardare avanti.
In Italia ed in particolare nelle forze dell’ordine, vige una regola non scritta che è quella di raggiungere gli obiettivi prefissati, sempre. Il fallimento non è previsto. Complice lo sviluppo di una carriera fatta spesso di spintoni tra colleghi, lo stress si accumula giornalmente anche in ragione di carichi di lavoro elevati da sopportare per tenere alto il rendimento dei Corpi, così come viene richiesto dalla nazione stessa, dalle esigenze.
Questo comporta il conseguente impegno diuturno e senza limiti delle centinaia di migliaia di uomini e donne in divisa che, spesso, sono costretti a sacrificare la propria famiglia per motivi di lavoro. Il trend delle separazioni familiari in questo particolare settore delle istituzioni pubbliche, raggiunge picchi che meriterebbero una valutazione a parte.
Le Forze Armate, in particolare, sono state oggetto di una revisione in senso restrittivo che, fermi restando gli standard di operatività necessari per garantire la sicurezza del Paese, hanno portato ad uno sfoltimento dei ranghi in progress da 140 mila uomini a circa novantamila. I concorsi vengono banditi per poche unità di personale tant’è che per accedere alla carriera militare oggigiorno devi essere uno scienziato. È chiaro che poi il ragazzo laureato e preparato – l’unico in grado di superare le prove concorsuali difficilissime – che cerca un’occupazione nel comparto della Difesa, deve fare i conti con una frustrazione personale che lo vede da un lato dover comunque guadagnarsi il pane per vivere e dall’altro dover urlare signorsì ogni volta che qualcuno gli dà un compito da fare.
La Guardia di Finanza invece pare che manchi di un cambio generazionale tale che possa consentire di coprire le posizioni che saranno lasciate a breve libere dagli anziani prossimi al congedo con personale giovane immesso nel Corpo.
Tutto è il frutto in un contesto di austerità introdotto dai Governi precedenti con il blocco delle nuove assunzioni ed una necessità di dover comunque provvedere alla sicurezza dello Stato e all’ordine pubblico, che non permette a nessuno che indossi la divisa, di starsene tranquillo e sereno a contare le pecore che scavalcano la staccionata.
Il gap generazionale che crearono quelle politiche di austerità, oggi stanno dando i loro disastrosi risultati visto che alla cessazione dal servizio di migliaia di anziani militari, corrisponde un incremento degli organici con numeri esigui. Risultato? Pochi uomini e impegnati davvero tanto.
Di contro c’è una realtà sociale che apre le porte delle forze dell’ordine ad una fetta di gioventù che è lontana anni luce dal senso di disciplina e di gerarchia che continua invece ad autoalimentarsi nel comparto Difesa. Questi giovani, spesso primi della classe che in altri tempi avrebbero ambito a posizioni da dirigente nelle strutture aziendali nazionali o che avrebbero potuto far parte della sanità o dell’ingegneria nazionale, oggi sono spesso costretti ad intraprendere una carriera che non amano. La selezione concorsuale, pertanto, non dovrebbe poggiare sulla preparazione culturale. In tal caso continueranno ad essere arruolati solo i primi della classe ma non i motivati. Occorre rivedere il criterio di selezione per indagare bene, in termini psicologici, se la strada intrapresa da questi ragazzi è quella giusta o se si tratta dell’ennesimo ripiego in una società che non consente altri sbocchi.
Nel 2020 ventidue ragazzi hanno già preso la decisione sbagliata. L’hanno fatta finita. Facciamo qualcosa prima che il fenomeno diventi cronico e parte di una statistica nazionale.