CGIA, “200 miliardi l’aumento delle tasse in 20 anni”

Dall’Ufficio studi della CGIA segnalano che negli ultimi 20 anni (1997-2017) il peso delle tasse in capo ai 41 milioni di contribuenti
italiani è aumentato di quasi 200 miliardi di euro (per la precisione 198). Una cifra da far tremare i polsi e che rende immediatamente
l’idea di quanto le richieste dell’erario siano diventate spaventosamente onerose. E se l’inflazione in questi 2 decenni è aumentata di quasi 43 punti
percentuali, le entrate tributarie sono cresciute di oltre 65 punti, vale a dire il 22,5 per cento in più del costo della vita.

“Come emerge in molti manuali di scienza delle finanze – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – con un carico
impositivo smisurato anche l’evasione fiscale assume dimensioni economiche preoccupanti. Secondo una nostra elaborazione, infatti, la media nazionale dell’evasione fiscale è al 16,3 per cento, con punte del 24,7 in Calabria, del 23,4 in Campania e del 22,3 per cento in Sicilia. A livello nazionale stimiamo che le imposte sottratte al fisco siano poco più di 114 miliardi di euro”.

Dalla CGIA fanno sapere che l’insieme delle imposte evase a livello regionale è stato stimato applicando al valore aggiunto sommerso un coefficiente determinato dal rapporto tra il gettito fiscale e il valore aggiunto desumibile dai conti nazionali, al netto dell’economia
non osservata.

“In linea generale – segnala il segretario della CGIA Renato Mason – in nessun altro Paese d’Europa viene richiesto uno sforzo fiscale come
in Italia. La nostra giustizia civile è lentissima, la burocrazia ha raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione
rimane la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registra dei ritardi spaventosi: nonostante queste inefficienze, la richiesta del nostro fisco si colloca su livelli elevatissimi e, per tali ragioni, appare del tutto ingiustificata”.

L’armamentario fiscale italiano è composto da oltre 100 voci: una sequela di addizionali e bolli, dai canoni ai contributi, dai diritti alle imposte per passare alle ritenute. Non mancano, ovviamente, le tasse i tributi e le sovraimposte; senza contare che paghiamo,
purtroppo, anche le tasse sulle tasse. L’esempio più clamoroso lo subiamo quando ci rechiamo a fare il pieno alla nostra autovettura. La base imponibile su cui si applica l’Iva è composta anche dalle accise sui carburanti.

Con un giorno di lavoro in più rispetto al 2018, nel 2016 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 2 giugno (154 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 9 se, invece, la comparazione è realizzata con la media dei 28 Paesi dell’Unione europea.

Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero
di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore a quello italiano (+21); tutti gli altri, invece, hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo. In Germania, ad esempio, 7 giorni prima di noi, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28. Il paese più virtuoso è l’Irlanda: con una pressione fiscale del 23,6 per cento permette ai propri contribuenti di assolvere gli obblighi fiscali in soli 86 giorni lavorativi.

Oltre all’eccessivo carico fiscale che grava sui contribuenti, concludono dalla CGIA, il problema nel nostro Paese è anche il pesodell’oppressione fiscale che ostacola l’attività quotidiana, soprattutto delle imprese di piccola dimensione. Al netto delle tariffe applicate dai commercialisti per la tenuta della contabilità aziendale, secondo una indagine realizzata periodicamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori (obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei registri, etc.) ammonta a
circa 3 miliardi di euro all’anno.

ECONOMIA NON OSSERVATA
L’economia non osservata (data dalla somma del valore aggiunto riconducibile all’economia sommersa e alle attività illegali), nel 2015 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili) ha prodotto 207,5 miliardi di euro di imponibile sottratto al fisco, dando luogo ad una evasione di imposta di circa 114 miliardi di euro l’anno. A causa dell’infedeltà fiscale degli italiani, per ogni 100 euro di gettito incassato, l’Erario, a livello nazionale, perde 16,3 euro.

CGIA, “200 miliardi l’aumento delle tasse in 20 anni”

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